Webinar – L’impatto psicologico del Covid-19

Webinar rivolto ai Volontari ETS della provincia di La Spezia – Dott. Alessio Novarelli

Vivere Insieme organizza un webinar formativo per volontari

L’impatto psicologico della pandemia in corso sta creando significative difficoltà a singoli, famiglie e organizzazioni nelle quali i volontari sono impegnati in prima linea a fronteggiare l’epidemia nei vari setting del servizio sociale e sanitario.

Pertanto sono proprio i volontari impegnati nelle relazioni di aiuto quelli maggiormente esposti al rischio di infezioni, ad un sovraccarico emotivo, a fatica fisica ed in alcuni casi ad una precarietà organizzativa.

Tutti questi fattori rappresentano per i volontari una seria e pericolosa fonte di stress.

Questo breve percorso formativo, articolato su due appuntamenti, sarà realizzato con l’utilizzo di una metodologia attivo-partecipativa basata sul cooperative learning, puntando soprattutto sul coinvolgimento e la partecipazione dei corsisti.

Ai partecipanti sarà somministrato un questionario anonimo relativo al benessere psicologico e gli stessi saranno invitati a collaborare attraverso la creazione di piccoli gruppi.

Il presupposto è che attraverso la cooperazione e l’interazione con gli altri si possano sviluppare competenze sociali, comunicative e relazionali, nonché un incremento dell’autostima e del senso di autoefficacia.

Il percorso è articolato su due incontri che si svolgeranno martedì 16 e martedì 23 marzo dalle ore 16:00 alle ore 18:00 

Il Docente del corso sarà il Dott. Alessio Novarelli psicologo.

L’iscrizione che dovrà essere effettuata entro giovedì 11 marzo è obbligatoria e valida per ambedue le giornate su cui è articolato il percorso formativo

PER ISCRIVERTI COMPILA IL FORM A QUESTO LINK 

Il webinar si svolgerà su piattaforma Microsoft Teams. Lunedì 15 marzo Il CSV inoltrerà via mail agli iscritti il link utile a partecipare alla formazione.

La storia generazionale del cliente

Studio di Psicologia – Dott. Alessio Novarelli – Psicologo, La Spezia

Come le famiglie connettono passato, presente e futuro?

Nel quadro intitolato “I miei nonni, i miei genitori e io”, Frida Kahlo, nel 1936 dipinge la sua nascita e i componenti della sua famiglia.

La rappresentazione è quella di una bimba nuda in piedi nel patio della casa blu, in mano tiene un nastro rosso, la linea ereditaria del sangue, che sostiene il suo albero genealogico.

La riproduzione come generatività, visto non soltanto come evento biologico, ha anche come obiettivo il proseguimento della storia familiare e sociale.

La possibilità di poter accedere alle esperienze delle generazioni precedenti è un passaggio obbligato per la crescita personale di ogni individuo.

Diventa, inoltre, un obiettivo da perseguire in modo coerente in tutte quelle situazioni nelle quali problematiche di tipo individuale, di coppia o familiare richiedono un aiuto professionale per essere affrontate e superate.

Il mio intervento psicoterapeutico

Il mio intervento psicoterapeutico si avvale della ricostruzione della storia generazionale del cliente, della valutazione della personalità e della messa a fuoco di problemi da affrontare terapeuticamente.

Disturbi del comportamento alimentare, disturbi d’ansia e panico, disturbi della personalità.

L’intervento professionale, ovvero il modello Relazionale Simbolico, rappresentato emblematicamente dal quadro di Frida, proviene da una lunga e proficua ricerca in tema di legami generazionali, interpersonali e intrapersonali.

Le famiglie caratterizzate da un buon funzionamento sono in grado di collegare il presente con il loro passato e nello stesso tempo di progettare il proprio futuro.

Per questo motivo uno dei possibili strumenti impiegabili è il genogramma utile a focalizzare il nostro interesse nella relazione di coppia, con la famiglia d’origine ed il contesto socio-culturale nel quale le famiglie sviluppano la loro storia.

Dove mi trovo? Dove potrei essere in questa emergenza?

Voi dove siete?                                                                         

durata lettura articolo: 1 minuto

Dalla traduzione dello schema in spagnolo di Celina Canales e da Casa per la Pace di Milano che ringrazio, questo è il mio personale schema riadattato.

E la gente rimase a casa” è una poesia ispirata alla pandemia di coronavirus, scritta da Kitty O’ Meara, un’insegnante in pensione, della città di Madison, nel Wisconsin.

E la gente rimase a casa
e lesse libri
e ascoltò
e si riposò
e fece esercizi
e fece arte
e giocò
e imparò nuovi modi di essere
e si fermò
e ascoltò più in profondità
qualcuno meditava
qualcuno pregava
qualcuno ballava
qualcuno incontrò la propria ombra
e la gente cominciò a pensare in modo differente
e la gente guarì.
E nell’assenza di gente
che viveva in modi ignoranti pericolosi
senza senso e senza cuore,
anche la terra cominciò a guarire
e quando il pericolo finì
e la gente si ritrovò
si addolorarono per i morti
e fecero nuove scelte
e sognarono nuove visioni
e crearono nuovi modi di vivere
e guarirono completamente la terra
così come erano guariti loro.

Kitty O’Meara (2020)

Guida Anti-Stress per i cittadini in casa

Il CNOP mette a disposizione dei cittadini che sono in casa per la pandemia una guida in 20 punti per affrontare la situazione con un migliore atteggiamento psicologico e gestire lo stress legato a questa particolare condizione.

Venti punti da seguire, primo tra tutti: gestire lo stress e sviluppare resilienza. Meglio OCCUPARSI che PRE-OCCUPARSI attuando comportamenti irrazionali e controproducenti.

Vademecum psicologico coronavirus per i cittadini

Perchè le paure possono diventare panico e come proteggersi con comportamenti adeguati, con pensieri corretti e emozioni fondate

Questo breve vademecum non vuole essere esaustivo né sostituirsi ad un aiuto professionale. E’ un contributo per riflettere ed orientare al meglio i nostri pensieri, emozioni e comportamenti – individuali e collettivi – di fronte al problema Covid-19. Pochi minuti del vostro tempo per una lettura che ci auguriamo possa esservi utile.
David Lazzari – Presidente CNOP – 26 febbraio 2020

La paura è un’emozione potente e utile. E’ stata selezionata dall’evoluzi- one della specie umana per permettere di prevenire i pericoli ed è quindi funzionale a evitarli.
La paura funziona bene se è proporzionata ai pericoli. Così è stato fino a quando gli uomini avevano esperienza diretta dei pericoli e decidevano volontariamente se affrontarli oppure no.

Oggi molti pericoli non dipendono dalle nostre esperienze.
Ne veniamo a conoscenza perché sono descritti dai media e sono ingigantiti dai messaggi che circolano sulla rete.

Succede così che la paura diventi eccessiva rispetto ai rischi oggettivi derivanti dalla frequenza dei pericoli. In questi casi la paura si trasforma in panico e finisce per danneggiarci.

Facciamo un esempio: dopo l’11 settembre il panico degli statunitensi per il volo in aereo fu tale che molti decisero di spostarsi in macchina. Nel periodo successivo sulle strade morì il doppio delle persone rispetto a quelle che viaggiavano sugli aerei catturati e abbattuti dai terroristi. Il panico si era tradotto in scelte individuali controproducenti che, aggregate, divennero un danno collettivo.

Si ha più paura dei fenomeni sconosciuti, rari e nuovi, e la diffusione del Coronavirus ha proprio queste caratteristiche.
A tutt’oggi, i decessi per influenza non da Coronavirus sono molto più frequenti. Di questi però non si ha paura perché ci siamo abituati a tal punto che molti italiani ignorano addirittura i benefici, in chiave preventiva, dei vaccini. Si ripete la differenza tra la paura dei voli in aereo e la scelta volontaria e sotto il nostro controllo di guidare un’automobile.

Per evitare che le paure siano sproporzionate e creino forme di ansia individuale e di panico collettivo proponiamo di condividere un “decalogo antipanico”. Alcune “chiavi di lettura” che possono aiutarci ad evitare due errori possibili: sopravvalutare o sottovalutare (negare) il problema.

Decalogo anti-panico

Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo
Il Coronavirus è un virus contagioso ma come ha sottolineato una fonte OMS su 100 persone che si ammalano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 hanno problemi più gravi e tra questi i decessi sono circa la metà ed in genere in soggetti portatori di altre importanti patologie.

Non confondere una causa unica con un danno collaterale
Molti decessi non sono causati solo dall’azione del coronavirus, così come è successo e succede nelle forme influenzali che registrano decessi ben più numerosi. Finora i decessi legati al coronavirus sono stimati nel mondo sono cento volte inferiori a quelli che si stima causi ogni anno la comune influenza. E tuttavia questo 1% si aggiunge ed è percepito in modo diverso dai “decessi normali”. Finora nessuno si preoccupava di una forte variabilità annuale perché tutti i decessi venivano attribuiti all’influenza “normale”: nell’ultima stagione influenzale sono scomparsi 34.200 statunitensi e, l’anno prima, 61.099.

Se il panico diventa collettivo molti individui provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi.

Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.

Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettivesemplici, apparentemente banali ma molto efficaci (cfr. elenco qui sotto).

In linea generale troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia, allargando cioè lo spazio-tempo con cui esaminiamo i fenomeni..

E’ difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo.

Questa semplice figura permette di vedere la paura del coronavirus in prospettiva.

La figura mostra il fenomeno delle paure nel loro complesso: l’indignazione pubblica sui media accentua alcune paure, come quelle per gli attacchi terroristici e i criminali armati, e induce a sottovalutare altri pericoli oggettivi a cui siamo abituati. Le caratteristiche del panico per coronavirus lo avvicinano ai fenomeni improvvisi e impressionanti che inducono panico perché sollevano l’indignazione pubblica.

Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi.

Tre buone pratiche per affrontare il coronavirus

Evitare la ricerca compulsiva di informazioni
Abbiamo visto che è normale e funzionale, in chiave preventiva, avere paura davanti ad un rischio nuovo, come l’epidemia da coronavirus: ansia per sé e i propri cari, ricerca di rassicurazioni, controllo continuo delle informazioni sono comportamenti comprensibili e frequenti in questi giorni. E tuttavia la paura si riduce se si riflette sul suo rapporto con i pericoli oggettivi e quindi si sa con chiarezza cosa succede e cosa fare.

Usare e diffondere fonti informative affidabili
E’ bene attenersi a quanto conosciuto e documentabile. Quindi: basarsi SOLO su fonti informative ufficiali, aggiornate e accreditate.

– Ministero della Salute: http://www.salute.gov.it/nuovocoronavirus
– Istituto Superiore di Sanità: https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/

Al Ministero della Salute, alla Protezione Civile, e al Sistema sanitario nazionale e regionale lavorano specialisti esperti che collaborano per affrontare con grande rigore, attenzione e con le risorse disponibili la situazione in corso e i suoi sviluppi.

Un fenomeno collettivo e non personale
IIl Coronavirus non è un fenomeno che ci riguarda individualmente. Come nel caso dei vaccini ci dobbiamo proteggere come collettività responsabile. I media producono una informazione che può produrre effetti distorsivi perché focalizzata su notizie in rapida e inquietante sequenza sui singoli casi piuttosto che sui dati complessivi e oggettivi del fenomeno. E’ importante tener conto di questo effetto.

Dopo i pensieri e le emozioni, i comportamenti

L’Istituto Superiore di Sanità indica semplici azioni di prevenzione individuale (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/). Eccole qui riassunte:

  • Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
  • Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione.
  • Bisogna lavarsi le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi, fino ai polsi. Se acqua e sapone non sono a portata di mano, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol con almeno il 60% di alcol.
  • Il virus entra nel corpo attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non lavate.
  • Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci; usa fazzoletti monouso.
  • Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate.
  • Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
  • Contatta il numero verde 1500 se sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni e hai febbre o tosse.
  • Se stai male e hai sintomi compatibili con il Coronavirus, contatta telefonicamente il tuo medico di base o il 118, senza recarti direttamente in ambulatorio o in Pronto
  • Soccorso (per ridurre eventuali rischi di contagio a terzi o al personale sanitario).
  • Rispetta rigorosamente solo i provvedimenti e indicazioni ufficiali delle Autorità di Sanità Pubblica: sono una tutela preziosa per te e per tutti.

L’uso regolare di queste azioni elementari riduce significativamente i rischi di contagio per sé, chi ci è vicino e la collettività tutta.

A chi si deve badare nella marea delle notizie

E’ stata chiamata “infodemia” il contagio e la diffusione delle notizie: guardando la tv, aprendo i giornali o andando in rete si viene sommersi da una marea di informazioni di ogni tipo sul Coronavirus: veri esperti e finti esperti, specialisti improv- visati, persone che riportano il “sentito” dire o il “sentito” letto. In questo campo ragionare con il “buonsenso” porta a conclusioni spesso errate.

Va bloccato o ignorato uno stato di “allarme psicologico permanente” che si traduce in “indignazione pubblica”. Si tende così a aumentare la percezione dei rischi e siamo spinti a cercare ossessivamente informazioni più rassicuranti. I media però sono fatti per attirare l’attenzione e ci espongono per lo più a cronache allarmanti facendo cresce la sproporzione tra pericoli oggettivi e paure personali.

Conclusione: riduci la sovraesposizione alle informazioni dei media. Le semplici informazioni sopra riportate sono sufficienti. Una volta acquisite le informazioni di base su che cosa succede e che cosa fare, è sufficiente verificare gli aggiornamenti sulle fonti affidabili sopra indicate.
Si hanno così tutte le informazioni necessarie per proteggersi, senza farsi sommergere da un flusso ininterrotto di “allarmi ansiogeni”. E’ bene proteggere anche i bambini. Se ci interrogano, daremo sempre la nostra disponibilità a parlare serenamente di quello che possono aver sentito e li spaventa correggendo un quadro statisticamente infondato.

E’ meglio non esporli alce informazioni allarmistiche di cui sopra.

Agisci collettivamente per un fenomeno collettivo

Anche se tu ti sei fatto un’idea corretta del fenomeno e non provi alcuna paura infondata, è bene cercare aiutare gli altri raccontando in parole semplici il nostro decalogo e le raccomandazioni qui elencate.
Devi supplire cioè all’indignazione e panico pubblici suscitati da molti canali media e social fornendo le semplici informazi- oni sopra indicate e ragionando con calma e pazienza invece di ignorare o, peggio, disprezzare chi non sa e si rifiuta di pensare.

Bisogna ricordarsi delle parole di Alessandro Manzoni in relazione alla peste di Milano del Seicento: “il buon senso se ne stava nascosto per paura del senso comune”.
Andiamo a scalzare il senso comune ma non con il buon senso di Manzoni ma con la scienza e la razionalità. La psicolo- gia permette di capire in modo razionale anche quel che non si presenta come tale ma che va capito e rispettato.

Agire tutti in modo informato e responsabile e aiutarsi reciprocamente a farlo, aumenta la capacità di protezione della collettività e di ciascuno di noi.

Non ti vergognare di chiedere aiuto

Se pensi che la tua paura ed ansia siano eccessive e ti creano disagio non avere timore di parlarne e di chiedere aiuto ad un professionista. Gli Psicologi conoscono questi problemi e possono aiutarti in modo competente.
Tutti possiamo avere necessità, in certi momenti o situazioni, di un confronto, una consulenza, un sostegno, anche solo per avere le idee più chiare su ciò che proviamo e gestire meglio le nostre emozioni, e questo non ci deve far sentire “deboli”.

Non è debole chi chiede aiuto per aumentare le proprie risorse e quelle dei suoi cari.

(Ringraziamo il Prof. Paolo Legrenzi, docente emerito di psicologia all’università Ca’ Foscari di Venezia ed esperto di psicologia delle emozioni e delle decisioni per la collaborazione).

Avete mai sentito parlare di phubbing?

Avete mai sentito parlare di phubbing?

Forse no, ma quasi certamente l’avete praticato oppure subito. Il phubbing è un termine recente nato dalla fusione delle parole “phone” (telefono cellulare) e “snubbing” (snobbare), e si riferisce appunto all’atto di ignorare o trascurare il proprio interlocutore in un contesto sociale concentrandosi sul proprio smart­phone. 

Il cellulare è ormai un oggetto onnipresente nelle nostre vite e molti di noi hanno l’abitudine di tenerlo fra le mani e di interagirci continuamente: questo avviene non solo quando per esempio siamo in coda alle poste o sui mezzi pubblici e, soli e annoiati, controlliamo i social o navighiamo sul web, ma anche quando siamo immersi in relazioni sociali, in famiglia, con i colleghi, tra amici e in coppia.

La ricerca non ha tardato ad analizzare il fenomeno e un nuovo studio, condotto da un’équipe di psicologi dell’Università del Kent e pubblicato sulla rivista Journal of Applied Social Psychology, ne ha confermato le prevedibili implicazioni negative: il phubbing andrebbe a peggiorare in maniera significativa la comunicazione e la relazione tra persone. 

I partecipanti allo studio, 153 studenti universitari, hanno assistito a una scena di 3 minuti che coinvolgeva l’interazione tra due persone, con la richiesta di identificarsi con uno dei due protagonisti. Ogni partecipante veniva assegnato a una fra 3 condizioni sperimentali: nessun phubbing, phubbing leggero o phubbing massiccio.

I risultati? Più il livello di phubbing aumentava, più i soggetti percepivano che la qualità della relazione era peggiore e la relazione insoddisfacente. 

Gli autori dello studio hanno caratterizzato il phubbing come una vera e propria «forma di esclusione sociale», capace, quando lo si subisce, di «minacciare alcuni bisogni umani fondamentali, come l’appartenenza, l’autostima, il senso di realizzazione e il controllo».

La loro speranza? Che, conoscendo quanto disagio possa suscitare questo comportamento, le persone si impegnino il più possibile per “stare” nelle relazioni che stanno vivendo, e, se proprio devono rispondere a una chiamata o a un messaggio, dedichino a tali interruzioni il più breve tempo possibile.