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Dott. Alessio Novarelli

Psicologo La Spezia – Assessment Collaborativo – Psicoterapia

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Tag: psicologo

Pubblicato il Aprile 4, 2025Maggio 4, 2025

Errore a scuola: chi vede te, non solo lo sbaglio

Il valore dell’errore a scuola
Errore a scuola come occasione di crescita

La scuola non dovrebbe solo insegnare, ma accogliere

“Ci sono cose che a scuola non si imparano dai libri, ma dagli sguardi, dai silenzi, da un adulto che sceglie di esserci davvero.”
La scuola dovrebbe essere molto più di un luogo di voti e interrogazioni. Dovrebbe essere uno spazio dove gli studenti imparano a scoprire chi sono, a esplorare le proprie passioni, e a commettere errori senza paura, perché è proprio attraverso l’errore che si cresce. Eppure, spesso l’attenzione è focalizzata solo sul rendimento, senza considerare che dietro ogni ragazzo c’è una storia, un mondo interiore complesso.

Quando un insegnante sceglie di ascoltare, non di giudicare

Mi ricordo che quando ero in terza o quarta superiore attraversavo un periodo difficile. Come tanti ragazzi della mia età, mi sentivo perso tra le trasformazioni familiari, fisiche ed emotive. Non andavo bene in molte materie, facevo numerose assenze e ogni giorno mi sembrava più complicato del precedente.
Un giorno, una professoressa mi chiamò alla cattedra per interrogarmi. Ero convinto che sarebbe stata l’ennesima esperienza negativa, l’ennesimo voto che avrebbe pesato sul registro. Avevo già la testa bassa, convinto di non sapere abbastanza, di non essere all’altezza. Ma appena mi fu vicino, abbassò la voce e mi disse che non era sua intenzione interrogarmi davvero. In quel momento, capii che voleva solo parlarmi, sapere come stavo, capire cosa stessi attraversando.

Un gesto semplice può cambiare tutto

Quello che mi colpì di più fu il modo in cui lo fece. Non mi mise in difficoltà davanti alla classe, non attirò l’attenzione su di me. Parlava a voce bassa, assegnava compiti agli altri studenti, simulava un’interrogazione vera e propria. Nessuno si accorse di nulla, e io mi sentii protetto, ascoltato, riconosciuto.
Mi guardò e mi chiese semplicemente come stavo. Mi diede quel tempo per parlare di me, per raccontarle cosa stavo provando. Fu un gesto semplice, ma potentissimo. Quella donna, quell’insegnante, in quel momento non era solo una professoressa. Era un’adulta che si prendeva cura di un ragazzo. Mi insegnò che a volte basta poco per fare la differenza nella vita di qualcuno: uno sguardo, una parola, un gesto discreto. In quel gesto c’era ciò che ogni adulto può rappresentare per un giovane in difficoltà: una presenza che ascolta, accoglie e guida. Per molti genitori questo interrogativo è vivo ogni giorno: Come posso essere d’aiuto a mio figlio?
Ne parlo anche qui: Cosa posso fare con mio figlio?

L’errore come strada per conoscersi

Forse la cosa più bella della psicologia analitica di Jung è il concetto di individuazione, che può essere riassunto nella frase emblematica di Nietzsche: “Diventa ciò che sei”. I bambini crescono osservando, imitando, ma poi arriva un momento in cui devono staccarsi da quell’imitazione e trovare la propria strada.

“Diventa ciò che sei”: l’individuazione tra sbagli e consapevolezza

L’oracolo di Delfi diceva “gnōthi sautón”, conosci te stesso, e la prima condizione per diventare se stessi è proprio questa: conoscersi, scoprire le proprie potenzialità, accettare le proprie vulnerabilità. Ma come si fa a conoscersi davvero, se non si ha lo spazio per sbagliare? Jung diceva che per individuarsi bisogna uscire dai comportamenti collettivi, non adattarsi ciecamente, ma trovare il proprio modo di essere nel mondo. E per farlo, è necessario attraversare tentativi ed errori, cadute e risalite. È necessario sbagliare.

Il valore dell’errore nella scuola e nella vita

Per questo, la scuola dovrebbe essere un luogo dove l’errore non è una condanna, ma un’opportunità. Un luogo in cui si impara, sì, ma soprattutto si diventa.
Perché è proprio attraverso gli errori che si cresce, si impara e si diventa più consapevoli di chi siamo e di chi vorremmo diventare.
“L’individuazione non è un percorso lineare, ma fatto di tentativi, inciampi e ripartenze. L’identità, infatti, non è qualcosa di fisso, ma qualcosa che si costruisce nel tempo, spesso passando attraverso l’errore. Ne parlo anche nell’articolo dedicato al Paradosso di Teseo, che esplora proprio il senso del “diventare se stessi” in un mondo che cambia: Chi sei davvero? Psicologia e il paradosso di Teseo.

È proprio qui che l’errore assume il suo valore più profondo: non come fallimento, ma come parte del processo di diventare se stessi. Ecco perché la scuola dovrebbe essere prima di tutto uno spazio sicuro dove sperimentare, commettere un errore e imparare a conoscersi. Perché senza il diritto di sbagliare, non c’è vera crescita, non c’è scoperta, non c’è individuazione”.

Pubblicato il Marzo 2, 2025Maggio 4, 2025

La giusta distanza in psicoterapia

“Le ombre si sfiorano anche quando i corpi restano distanti. È nella giusta distanza che troviamo equilibrio: troppo vicine si sovrappongono e si fanno più scure, troppo lontane si dissolvono.”

Provare a trovare, costuire e tenere una “giusta distanza” dagli altri, dai nostri adulti significativi, dai nostri genitori, dal nostro passato, dai nostri compagni, dai nostri figli. Perché è nella giusta distanza che possiamo vedere con più chiarezza e comprendere senza giudicare.

Quando in terapia emergono storie di genitori critici, distanti o sprezzanti, spesso il dolore del cliente si scontra con la difficoltà di accettare che proprio quelle figure, che avrebbero dovuto offrire amore e sicurezza, abbiano invece ferito. È naturale ribellarsi all’idea che l’unico genitore avuto non abbia saputo fare meglio.
Eppure, attraverso il percorso terapeutico, si arriva a comprendere che anche quei genitori vengono da storie difficili. Un padre ipercritico, forse, è stato cresciuto nell’assenza di affetto o con aspettative schiaccianti. Una madre distante, forse, ha imparato presto a proteggersi dal dolore isolandosi emotivamente. C’è una trasmissione generazionale di schemi relazionali che, inconsapevolmente, ricade in qualche modo nei figli.

Rompere la catena: comprendere senza giustificare

“Non possiamo cambiare ciò che è accaduto, ma possiamo cambiare come lo portiamo nella nostra mente.” – Stephen Finn

“Non tutti i ponti reggono il peso della nostra storia. Alcuni rimangono intatti, permettendoci di attraversare il passato senza ostacoli. Altri, invece, si spezzano, lasciandoci bloccati tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere.

Accettare la propria storia non significa minimizzarla o negare il dolore. Significa riconoscerla per ciò che è, senza lasciare che il passato continui a determinare il presente. Spesso si pensa che accettare voglia dire giustificare, ma in realtà vuol dire prendere atto di ciò che è stato, fare spazio alle emozioni, riconoscerle e sentirle, senza esserne sopraffatti e scegliere con consapevolezza come relazionarsi con il passato.
La terapia non è un processo di giudizio, né un esercizio di perdono imposto. È un’opportunità per guardare la propria storia con nuovi occhi e trovare la giusta distanza:
– una distanza che permetta di accettare il passato senza subirlo,
– di sentire il dolore senza esserne schiacciati,
– di riconoscere ciò che è stato senza lasciare che definisca il futuro.

Se sei in cerca di un percorso che possa aiutarti a farlo, ma non sai quale approccio scegliere, ti consiglio di leggere il mio articolo su [Come scegliere lo psicoterapeuta più adatto]

Verso una nuova relazione con sé stessi

“Credo che ogni persona, se supportata, possa trovare i giusti passi da fare per costruire una vita migliore.” – Stephen Finn

La nostra ombra porta i segni del passato, nitida e ineludibile. La strada davanti, invece, può confondersi e confonderci. Trovare la giusta distanza significa scegliere se seguire il peso di ciò che è stato o tracciare un nuovo percorso.

Spezzare i legami con il passato non significa necessariamente interrompere i rapporti con i genitori, ma ridefinire il modo in cui ci si relaziona a loro. Non sempre è possibile o sano ricostruire un rapporto stretto, ma nella maggior parte dei casi il percorso terapeutico porta a una nuova consapevolezza: quella di poter decidere con una maggiore chiarezza e comprensione maturata in terapia, se stare o no accanto ai propri genitori e con quale diverso equilibrio, ovvero costruirsi una nuova giusta distanza.
Nella pratica, ciò può voler dire scegliere di non combattere più battaglie che non avranno mai un vincitore, smettere di cercare conferme da chi non ha mai saputo darle, o accettare i limiti di chi ci ha cresciuti senza che questi definiscano il nostro valore.

L’Assessment Collaborativo: nuove strade da esplorare

Trovare la giusta distanza è un percorso delicato, fatto di equilibri sottili tra vicinanza e protezione, tra comprensione e autonomia. A volte siamo come ombre che si sfiorano, capaci di sentirci vicini anche senza toccarci; altre volte, siamo su ponti spezzati, sospesi tra il desiderio di unire ciò che è diviso e la necessità di accettare che alcune distanze non possono essere colmate.

L’Assessment Collaborativo non offre risposte definitive, ma aiuta a tracciare nuove mappe interiori, a costruire nuovi ponti o, quando necessario, ad attraversare quelli già esistenti con maggiore consapevolezza. Non si tratta solo di elaborare il passato, ma di scegliere con quale passo e da quale distanza vogliamo camminare nel nostro futuro.

Per approfondire i principi dell’Assessment Terapeutico, puoi guardare questo video in cui il Dott. Stephen Finn ne parla in dettaglio: [YouTube link]

Pubblicato il Febbraio 15, 2025Maggio 4, 2025

“Chi sei davvero? Psicologia e il Paradosso di Teseo”

Il Paradosso della Nave di Teseo ci pone una domanda affascinante: se nel tempo sostituiamo ogni parte di una nave, pezzo dopo pezzo, possiamo ancora dire che sia la stessa nave?

E se tutte le cellule del nostro corpo cambiano nell’arco di pochi anni, siamo ancora la stessa persona di un tempo?

Cresciamo, cambiamo, viviamo esperienze che ci trasformano. Il nostro corpo rinnova ogni sua cellula nel corso degli anni. La nostra mente si evolve, i nostri pensieri non sono più quelli di un tempo. Eppure, ci sentiamo sempre noi stessi. Ma allora, cosa definisce davvero la nostra identità?

Ci piace pensare alla nostra identità come qualcosa di fisso, stabile, immutabile. Ma la verità è che cambiamo continuamente: esperienze, relazioni, successi e fallimenti modellano il nostro modo di essere. A volte il cambiamento è evidente, altre volte è più sottile, nascosto sotto il velo delle abitudini e delle convinzioni che abbiamo su di noi.

L’identità tra cambiamento e continuità

Secondo Eraclito, “nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume due volte, perché né l’uomo né il fiume saranno gli stessi.” L’identità sembra muoversi tra due poli: da un lato, il cambiamento continuo; dall’altro, la sensazione di essere sempre la stessa persona.
La nostra identità è profondamente legata ai ricordi. Il passato, attraverso la memoria, costruisce un senso di continuità, una linea che collega il nostro primo ricordo fino al presente. Tuttavia, la percezione di sé non è statica: cambia nel tempo, si arricchisce, si rinnova. Chi eravamo dieci anni fa non è esattamente chi siamo oggi, eppure ci riconosciamo in entrambi.

Cosa accade quando il senso di continuità si spezza?

Questa percezione di unitarietà è fondamentale per la nostra vita psichica. Alcune forme di sofferenza mentale derivano proprio da una frattura nell’identità: momenti in cui non ci sentiamo più in connessione con chi siamo, in cui sembra di aver perso una parte di noi stessi. Quando questo accade, si crea una distanza tra il nostro passato e il presente, lasciandoci smarriti.
Eppure, il cambiamento non è una minaccia, ma una possibilità di crescita. Il fuoco di Eraclito rappresenta perfettamente questa dinamica: cambia continuamente, ma nella sua continua trasformazione mantiene inalterata la sua essenza.

L’Assessment Collaborativo : una nuova prospettiva su di sé

L’Assessment Collaborativo aiuta proprio a esplorare questa tensione tra cambiamento e continuità, offrendo un nuovo modo di guardare alla propria storia. Spesso ci incaselliamo in definizioni rigide: “Io sono così, non cambierò mai.” Ma se la nave di Teseo può essere sostituita pezzo dopo pezzo e rimanere se stessa, perché non può essere lo stesso per noi?
L’Assessment Collaborativo non impone un’identità, ma aiuta a comprendere come siamo arrivati a essere ciò che siamo oggi, a riconoscere il nostro percorso e a renderci consapevoli del fatto che possiamo scegliere in che direzione andare. Non si tratta di diventare qualcun altro, ma di acquisire un nuovo sguardo su noi stessi e sulla nostra evoluzione.

Chi siamo davvero?

Ogni sette anni, ogni cellula del nostro corpo viene sostituita, e persino gli atomi che ci compongono cambiano continuamente. Come facciamo ad affermare di essere sempre noi stessi se non abbiamo più nemmeno un atomo di quelli preso in prestito dai nostri genitori?

Se nulla di ciò che eravamo fisicamente esiste più, cosa ci rende ancora noi stessi?

La consapevolezza è la chiave della conoscenza, del cambiamento e, quindi, della nostra identità nel qui e ora. Non è la materia a definirci, ma il filo invisibile delle nostre esperienze, il modo in cui diamo senso ai nostri ricordi e intrecciamo le relazioni che ci accompagnano nel tempo.

Forse non siamo qualcosa di immutabile, ma un equilibrio dinamico tra ciò che cambia e ciò che resta. Un’identità in continua evoluzione, ma sempre profondamente nostra.

Se potessi scegliere, quale parte di te vorresti trasformare?

Pubblicato il Novembre 17, 2024Maggio 4, 2025

L’opposto della dipendenza non è la sobrietà, ma la relazione

 L’isolamento sociale è un fattore determinante per il consumo continuato di droghe 

Le dipendenze sono l’unica scelta?

C’è sempre questa facilità di giudizio, leggevo di queste dichiarazioni, tra cui: “La droga è m**da e chi si droga è un cogl**ne” 

C’è sempre questa facilità di giudizio sugli altri, senza neanche sapere da dove l’altro viene, che storia porta con sè e di sè, quando basterebbe provare a volte a mettere i piedi nelle scarpe dell’altro per capire dove e come noi saremmo potuti arrivare e con quali difficoltà o se non avremmo addirittura fatto di peggio.

C’è sempre questa facilità di giudizio, quando si parla di dipendenze e c’è chi è dipendente dal gioco d’azzardo, dal sesso, da una persona, dai social, dal cibo, dall’alcool, dallo shopping, non solo dalle droghe, e le dipendenze sono, semplificando, “l’unica scelta”, ma dobbiamo capirne di più, dobbiamo andare oltre, anche perchè quasi tutto quello che pensiamo di sapere sulla dipendenza potrebbe essere sbagliato. 

L’esperimento del RAT-PARK

Negli anni 60, hanno fatto un esperimento: hanno preso un ratto, l’hanno messo in una gabbia singola e gli hanno dato due bottiglie di acqua, una contenente acqua fresca e l’altra acqua con la  droga che da più dipendenza, l’eroina; il topo preferiva sempre l’acqua con la droga e consumava, in molti casi, tutta la quantità fino a procurarsi la morte.

Alla fine degli anni 70 il professore Bruce Alexander, docente di psicologia dell’università di Vancouver, ha osservato questo esperimento notando però che il ratto di turno era sempre messo in gabbia da solo, quindi decise di costruire una gabbia collettiva enorme, quasi 200 volte più grande: un RAT-PARK, ovvero un parco giochi per topi, abbellito con alberi ed elementi naturali dove vennero anche inseriti altri topi provenienti dal mondo esterno. 

A questo punto, tutti i topi, sia quelli in gabbia che quelli nel parco, avevano sempre accesso alla possibilità di bere i due liquidi, ma mentre quelli in gabbia singola preferivano sempre l’acqua con l’eroina, i topi nel RAT-PARK preferivano maggiormente l’acqua fresca senza nessuna aggiunta di altre sostanze.

L’esperimento del RAT-PARK ha dimostrato che l’isolamento sociale è un fattore determinante per il consumo continuato di droghe. 

La libertà e la compagnia dell’altro fanno calare drasticamente la dipendenza; l’opposto della dipendenza non è la sobrietà, ma la relazione. 

Cosa s’intende per dipendenza?

Con il termine dipendenza si intende una condizione in cui l’organismo ha bisogno di una determinata sostanza per funzionare e sviluppa una dipendenza fisico-chimica da essa. 

Non esiste una teoria unitaria a proposito dell’uso e della dipendenza da sostanze psicoattive o, più in generale, dell’addiction. 

Spesso il termine addiction è usato come sinonimo di dipendenza, tuttavia il termine addiction, denota la dipendenza che spinge l’individuo alla ricerca dell’oggetto di dipendenza, senza il quale la sua esistenza diventa priva di significato: è dunque un coinvolgimento crescente e persistente della persona al punto che l’oggetto di dipendenza pervade i suoi pensieri ed il suo comportamento.

Lo psicologo Stanton Peel sostiene che la dipendenza non è una patologia cronica del cervello o un fenomeno biologico, ma un processo che può essere indagato solo soggettivamente in termini di valori, finalità, motivazione, esperienza, relazioni.

L’uso di sostanze da parte dell’essere umano è situato in un’ecologia, in cui i fattori biologici, psicologici e sociali si incontrano ed esercitano reciproca influenza sui risultati.

Tra alcune delle principali ipotesi e teorie di riferimento citiamo: L’approccio neurobiologico: sistema di reward, neurotrasmettitori e neuroadattamento, L’ipotesi di automedicazione, La teoria dell’attaccamento, Le teorie cognitivo-comportamentali e La teoria sociocognitiva di Bandura.

L’ipotesi di automedicazione di cosa parla?

La SMH, Self-Medication Hypothesis o ipotesi di automedicazione di E.J. Khantzian deriva dalla prospettiva psicodinamica ed è guidata da un approccio umanistico al paziente, è applicabile anche alle dipendenza senza uso di sostanze, ovvero alle new addictions.

Questa ipotesi, formulata negli anni Settanta dice che le droghe diventano additive perché hanno l’effetto potente di alleviare, rimuovere o cambiare il dolore e la sofferenza psicologica, sentita come insopportabile.

Le droghe riducono la rabbia, l’ansietà, la depressione e stati affettivi dolorosi e non è tanto il piacere che i dipendenti cercano, quanto piuttosto di regolare le loro emozioni e scappare da sentimenti costanti di deprivazione, vergogna e inadeguatezza; l’automedicazione, quindi è parte del sistema difensivo e di adattamento.

Edward Khantzian, dopo la casistica dei soggetti da lui trattati, dice che il tipo di droga era selezionato in modo tale che le proprietà farmacologiche della sostanza fossero idonee ad alleviare gli stati affettivi disturbanti del soggetto. Le droghe, quindi, vengono scelte attraverso successivi tentativi in cui i consumatori si imbattono in una droga che allevia specifici affetti.

Quale droga viene scelta e perchè?

La maggior parte preferisce una classe specifica di droghe che induce determinati effetti e viene incontro ai bisogni psicologici centrali della persona, nello specifico: 

a) gli oppiacei vengono assunti per fronteggiare stati di disforia (disturbo dell’umore affine agli stati di depressione e di irritazione; opposto di euforia) associati ad aggressività e rabbia; 

b) gli stimolanti e la cocaina vengono assunti per fuggire da uno stato depressivo e di vuoto, per alleviare sentimenti di noia, morte interna e mancanza di significato nella vita (vengono anche usati da persone con disturbi dell’attenzione per i loro paradossali effetti calmanti); 

c) i sedativi e l’alcol vengono utilizzati per fare cadere le inibizioni e l’ipercontrollo e per ridurre la tensione e gli stati ansiosi;

 d) la cannabis e gli allucinogeni vengono usati per combattere l’isolamento. 

Esistono a supporto della teoria dell’automedicamento alcuni studi sperimentali, tra questi particolarmente interessante è quello condotto nel 1977 da Wusmer L. e Pecksnifr Mr. 

Si tratta di una ricerca in cui un gruppo di eroinomani è stato trattato con doxepina (antidepressivo) e paragonato ad un gruppo di controllo trattato con placebo. L’antidepressivo ha provocato una significativa riduzione del craving ovvero del desiderio incontrollabile di assumere la sostanza, in questo caso l’eroina.

Gli autori, quindi, conclusero che gli eroinomani fossero affetti da sindrome ansioso-depressiva che andava in remissione per effetto del trattamento di un farmaco antidepressivo.

Per quel che riguarda le new addictions è stato ipotizzato che, anche per queste dipendenze, possa essere valida la teoria di Khantzian.

Quali dipendenze sono più complicate da superare?

In ordine di difficoltà, secondo Stanton Peel, le sette dipendenze più complicate da superare:

1- Dipendenza affettiva

2- Cibo spazzatura

3- Fumo

4- Eroina

5- Psicofarmaci

6- Alcol

7- Cocaina 

Pubblicato il Febbraio 25, 2024Maggio 4, 2025

“Psicoterapia nei disturbi alimentari: il ruolo della terapia familiare”

Quando il cibo diventa linguaggio: il ruolo della famiglia nella guarigione.

Nella cura dei disturbi alimentari, sono coinvolte diverse figure professionali dell’area sanitaria, con un approccio multidimensionale, interdisciplinare e pluriprofessionale. Qual è, in questo quadro, il ruolo della psicoterapia? Lo spiega lo psicologo e psicoterapeuta spezzino Alessio Novarelli. “Il primo obiettivo si identifica sostanzialmente con la costruzione di una relazione di fiducia; queste persone sono in genere diffidenti o molto sfiduciate: occorre ingaggiarle nel trattamento verso il cambiamento ed “abbracciare” l’intero sistema familiare. Vivono, infatti, la propria condizione non come un disturbo o una malattia da curare, ma come una scelta di vita, tanto che il controllo dell’alimentazione e del peso corporeo viene descritto come ‘luna di miele’ con la malattia”.

“Perchè è utile affiancare la psicoterapia individuale ad una psicoterapia familiare nei disturbi alimentari? “

Novarelli pone l’accento sull’indagine e il trattamento, con la psicoterapia individuale, riguardo l’aspetto legato alle difficoltà interpersonali, alla mancanza di relazioni significative soddisfacenti “per cui l’atteggiamento anoressico o bulimico può rappresentare una difesa rispetto a ciò che non si vuol ‘sentire’”. “L’approccio relativo al modello sistemico relazionale individua le modalità di relazione tra i nuclei familiari e quelle particolari dinamiche che favoriscono il mantenimento di questo status.

“La psicoterapia familiare perchè è utile nei disturbi del comportamento alimentare?”

La psicoterapia familiare è quella ritenuta più utile, poiché aiuta il genitore a comprendere meglio gli aspetti patologici del disturbo dei propri figli e può essere valida per interrompere il circolo vizioso tra le criticità e la malattia”. Si mette, così, in evidenza il significato relazionale del sintomo, introducendo una visione circolare e relazionale dei comportamenti di tutti i membri della famiglia, che potranno modificare le regole disfunzionali del nucleo, sostituendole con altre più funzionali. “Il compito del terapeuta è cogliere rapidamente quali sono le regole che generano e perpetuano la disfunzione ed escogitare un intervento che rompa la regola sul piano di azione.

Se vuoi approfondire il ruolo della famiglia nella psicoterapia, leggi anche Cosa posso fare con mio figlio

“Qual è la finalità della terapia familiare nei disturbi alimentari”

La finalità della terapia familiare è di individuare il significato che il cibo assume nella famiglia: questo aiuterebbe i suoi componenti a sperimentare altre dinamiche più adeguate e flessibili, altri linguaggi, riportando il cibo nella sua collocazione più giusta”. Quali gli effetti benefici della psicoterapia familiare? “I genitori aumentano le loro conoscenze sullo sviluppo dell’adolescente e su come modificare le loro modalità genitoriali in risposta ai bisogni evolutivi del figlio; vengono interrotti i meccanismi reciproci di identificazione-proiettiva, dando ai membri della famiglia la possibilità di riappropriarsi delle parti di sé proiettate”.

Scopri di più leggendo l’articolo pubblicato nel quotidiano La Nazione

Se pensi che la terapia familiare possa aiutare te o un tuo caro, contattami per una consulenza. Insieme possiamo trovare il percorso più adatto per affrontare il problema.

Pubblicato il Aprile 17, 2022Maggio 4, 2025

Assessment Collaborativo La Spezia

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Assessment collaborativo La Spezia: un percorso breve e partecipativo per conoscere meglio se stessi.

assessment collaborativo a La Spezia
Studio di Psicologia – Dott. Alessio Novarelli

🟪 Cos’è l’Assessment Collaborativo La Spezia

L’Assessment Collaborativo a La Spezia è una modalità di intervento psicologico breve (di solito tra 8 e 12 incontri), in cui il cliente è coinvolto attivamente nell’esplorazione della propria storia e del proprio funzionamento personale.

A differenza della classica valutazione psicodiagnostica, questo approccio è già un intervento terapeutico. Si usano test psicologici in modo collaborativo, costruendo insieme nuove chiavi di lettura e possibilità di cambiamento.

🟦 Come funziona?

Si inizia formulando insieme alcune domande importanti, che rappresentano il focus dell’intervento:

  • “Perché reagisco sempre in questo modo?”

  • “Perché mi sento bloccato in certe situazioni?”

  • “Quali risorse ho che non riesco a vedere?”

I test psicologici vengono scelti sulla base di queste domande e discussi non come “giudizio”, ma come strumenti per riflettere insieme.

🟨 Cosa succede alla fine del percorso

Alla conclusione del percorso, si condivide con il cliente un momento di restituzione, sia orale che scritta, attraverso una lettera personalizzata che raccoglie le scoperte emerse e indica le possibili strade future.

A volte l’Assessment è sufficiente da solo. Altre volte può aprire la strada a un eventuale percorso di consulenza o psicoterapia.

🟥 A chi è rivolto

L’Assessment Collaborativo è adatto a:

  • Adulti
  • Coppie
  • Famiglie con bambini
  • Famiglie con adolescenti

È utile quando si attraversano momenti di confusione, disagio, blocco, o si cerca una nuova comprensione di sé o delle proprie relazioni.

Hai dubbi su come scegliere il professionista giusto per te?
👉 Leggi: Come scegliere lo psicoterapeuta più adatto

🟫 Le origini del metodo

Questo approccio è stato sviluppato da Stephen Finn ad Austin (Texas) e si fonda su modelli clinici solidi, come:

  • la fenomenologia
  • la psicoanalisi intersoggettiva
  • la psicologia narrativa

Numerose ricerche ne confermano l’efficacia nel favorire cambiamenti positivi, migliorare l’autostima e la comprensione di sé.

In sintesi, l’Assessment Collaborativo a La Spezia si propone come un intervento psicologico breve, mirato e partecipativo, adatto a chi desidera comprendere meglio se stesso in un contesto clinico empatico e strutturato.

📌 Vuoi sapere se questo tipo di percorso fa per te?
👉 Contattami per una consulenza conoscitiva

oppure

👉 Torna alla pagina “Approccio Clinico”

Pubblicato il Febbraio 2, 2022Maggio 4, 2025

L’ esperienza di conoscersi: l’assessment collaborativo, il percorso terapeutico che porta alla consapevolezza

Scoprire se stessi è un viaggio di consapevolezza: attraverso l’assessment terapeutico puoi dare un nuovo significato alla tua storia e costruire il cambiamento.
Studio Clinico Il Baobab, La Spezia
#psicologolaspezia
Studio Clinico Il Baobab, La Spezia – Dott. Alessio Novarelli – Psicologo, Psicoterapeuta

Il bisogno umano fondamentale è quello di essere riconosciuti e compresi

L’Assessment Collaborativo è un processo terapeutico che aiuta le persone a comprendere meglio se stesse. Attraverso strumenti specifici, offre una maggiore consapevolezza e prepara il terreno per un percorso di psicoterapia più efficace

Tutti noi costruiamo delle storie su noi stessi basandoci sulle nostre esperienze di vita. Queste narrazioni plasmano il nostro modo di vedere il mondo e di interagire con esso. Tuttavia, col passare del tempo, alcune di queste storie possono rivelarsi incomplete, imprecise o addirittura limitanti.

Quando le convinzioni che abbiamo su noi stessi non rispecchiano più la nostra realtà interiore, può emergere un senso di insoddisfazione o di confusione. È qui che il percorso di conoscenza di sé diventa essenziale: rielaborare e ricostruire la propria narrazione in modo più autentico, coerente e compassionevole.

Che cos’è un assessment collaborativo ?

L’assessment collaborativo è un processo di valutazione psicologica che aiuta le persone a comprendere meglio se stesse. Il termine “assessment” si riferisce all’analisi delle caratteristiche individuali attraverso strumenti specifici, al fine di ottenere una visione più chiara di sé. L’assessment collaborativo non è solo una valutazione, ma un vero e proprio primo passo del percorso terapeutico, aiutando già da subito la persona a sviluppare maggiore consapevolezza di sé e a dare un nuovo significato alla propria storia.

Come funziona l’assessment collaborativo?

L’assessment inizia con l’individuazione di domande chiave che la persona si pone su se stessa. Queste domande guidano il processo e determinano quali strumenti di valutazione siano più adatti. I test utilizzati sono scientificamente validati e forniscono dati oggettivi, ma il loro valore più grande emerge quando vengono interpretati nel contesto della storia unica di ogni individuo.

Ogni persona è diversa e, per questo motivo, lo stesso risultato di un test può avere significati differenti a seconda della situazione e della storia personale. L’integrazione tra dati psicometrici e narrazione personale consente di ottenere una comprensione più profonda e utile per il cambiamento.

Dall’analisi alla trasformazione: il ruolo del feedback

Il percorso di assessment si conclude con un feedback dettagliato. Viene fornita una sintesi chiara dei risultati, spesso sotto forma di lettera rivolta al cliente, che spiega in modo empatico e comprensibile le informazioni emerse durante il processo. Questo passaggio è cruciale perché permette alla persona di sentirsi riconosciuta e di trovare nuove prospettive per affrontare la propria vita con maggiore consapevolezza.

Grazie a questo percorso, la persona può sviluppare una nuova narrazione di sé, più autentica e libera da schemi imposti dal passato. Scopri di più su come la terapia aiuta a costruire la giusta distanza nelle relazioni e con il proprio passato.

Un percorso di crescita personale

Credo fermamente che ogni individuo, se supportato adeguatamente, possa trovare dentro di sé le risorse necessarie per affrontare le sfide e costruire una vita più appagante. L’assessment collaborativo non è solo una valutazione, ma un’opportunità di trasformazione, un viaggio di conoscenza di sé che permette di riscoprire la propria autenticità e il proprio potenziale.

Per approfondire i principi dell’Assessment Terapeutico, puoi guardare questo video in cui il Dott. Stephen Finn ne parla in dettaglio: [YouTube link].

Se vuoi approfondire il mio approccio terapeutico e scoprire come posso aiutarti a sviluppare una base sicura interiore, visita la mia pagina [link articolo].

Vuoi capire meglio come funziona l’assessment collaborativo e se può esserti utile? Contattami telefonicamente o via WhatsApp!

Pubblicato il Gennaio 5, 2021Maggio 4, 2025

Aggiustare la storia invece di nasconderla

Kintsugi

Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro.

Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello.

Questa tecnica è chiamata Kintsugi.

Rendere belle e preziose le “persone” che hanno sofferto, riparare e ricucire le ferite, guardare con prospettive diverse le cose che ci sono successe, questa tecnica si chiama psicoterapia.

Il dolore è parte della vita.

A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del mosaico.

Il dolore fa due cose: ti insegna, ti dice che sei vivo.

Poi passa e ti lascia cambiato.

E ti lascia più saggio, a volte.

In alcuni casi ti lascia più forte.

In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell’altro.

Pubblicato il Luglio 6, 2020Maggio 4, 2025

Ciò che si vede conta quanto ciò che non si vede

Studio di Psicologia – Dott. Alessio Novarelli – Psicologo, La Spezia

Quello che non è stato trattato aspetta di essere trattato

In questi ultimi anni mi sono molto soffermato a riflettere sul significato di ciò che riesco a vedere e si vede e ciò che non vedo e non riesco a vedere.


Il quadro di Paul Klee intitolato “L’occhio”, ne riassume visivamente il concetto, nel quale è rappresentato un volto non completo, con un solo occhio, un solo lato della bocca e la linea del naso che sembrerebbe dividere in due il soggetto.


Il continuo percorso formativo in ambito psicoterapeutico, ci insegna proprio, dalle parole di Vittorio Cigoli che “Quello che non è stato trattato aspetta solo di essere trattato” e come entrambi tali riferimenti possano integrarsi tra loro nell’ottica del pensiero che:

ciò che si vede e si tratta è in stretta connessione con ciò che non si vede ma che aspetta di essere trattato.

Riuscire a rendere visibile ciò che non è visibile dovrebbe essere sempre più un nostro compito professionale psicoterapeutico.

Pubblicato il Marzo 11, 2020Maggio 4, 2025

I numeri dei disturbi del comportamento alimentare

I dati in Italia dei disordini alimentari:

3 milioni sono gli italiani colpiti da anoressia, bulimia e disordini alimentari;
5% della popolazione;
7,5 milioni sono le persone coinvolte a livello familiare;

Fasce di età a rischio

14-35 anni è la fascia di età più colpita;
Tra chi chiede aiuto il 92% sono donne;

Questione di genere?

GENERE donne 96,8% uomini 3,2%;
Titolo di studio: diploma 68%, laurea 12%;

Status Socio Economico?

alto 28,5%, medio 56%, basso 15,3%

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Studio di Psicologia

Dott. Alessio Novarelli

“Credo che ogni persona, se supportata, possa trovare i passi giusti da fare per costruire una vita migliore.”

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