SCOPRIRE LA PROPRIA BASE SICURA INTERIORE SIGNIFICA IMPARARE A ESSERE QUELLA PRESENZA CHE NON ABBANDONA, NEMMENO QUANDO TUTTO TACE
Imparare a costruire la propria base sicura interiore: la voce che ci accompagna anche quando tutto tace.
Ci sono parole che cambiano la direzione di una giornata. E a volte, l’unica cosa di cui abbiamo davvero bisogno è una persona. Una persona che ci dica: “Stai tranquillo, tu ce la farai, io credo in te, vai avanti, non mollare.”
E a volte, quella persona dobbiamo essere noi stessi.
Ci sono momenti in cui il mondo sembra distante, e le parole che vorremmo sentire non arrivano da nessuno. È allora che possiamo imparare a pronunciarle dentro di noi, a diventare quella voce che sostiene, che crede, che accoglie. Essere quella presenza che non abbandona, nemmeno quando tutto tace.
Quando impariamo a costruire la nostra base sicura interiore
Nel percorso psicologico impariamo a costruire una base sicura interiore, una voce capace di accompagnarci anche nei momenti di solitudine. Non è isolamento, ma maturità emotiva: la capacità di restare accanto a sé stessi senza fuggire, di contenere le proprie emozioni, di accogliere la vulnerabilità come parte della vita.
Secondo John Bowlby, la “base sicura” è la radice di ogni legame sano: è ciò che ci permette di esplorare il mondo sapendo di poter tornare in un luogo sicuro. Nella terapia, questo luogo comincia a esistere dentro di noi.
Nel percorso terapeutico: costruire una base sicura interiore
Nel lavoro clinico, mi accorgo che la svolta arriva proprio qui: quando una persona sente che può contare su sé stessa, che può parlarsi con gentilezza invece che con giudizio, che può scegliere di restare, invece di scappare.
Diventare la propria base sicura interiore significa imparare a riconoscere i propri bisogni senza colpa e a reggere le emozioni senza negarle. È un atto di resilienza psicologica e di autocompassione profonda.
La terapia offre lo spazio dove questa voce può nascere e consolidarsi: un’esperienza di accoglienza che, con il tempo, diventa parte del proprio modo di vivere, amare e pensarsi.
Essere la voce che avremmo voluto accanto
Diventare la propria base sicura interiore non significa non aver bisogno degli altri, ma scegliere relazioni più libere e reciproche. Significa smettere di aspettare salvezze esterne e cominciare a costruire fiducia, presenza e ascolto.
È la capacità di diventare quella voce che avremmo voluto accanto: calda, ferma, paziente. Una voce che ci dice — anche quando tutto tace — che possiamo farcela.
Conclusione: il valore di una base sicura interiore
La base sicura interiore non è un traguardo, ma un processo. Ogni volta che impariamo a sostenerci, stiamo costruendo dentro di noi una nuova possibilità di fiducia e consapevolezza.
Se vuoi approfondire come si sviluppa questa voce interiore attraverso la psicoterapia, leggi anche Imparare a lasciare andare: un passo ulteriore nel percorso verso una presenza più stabile e compassionevole.
La scuola non dovrebbe solo insegnare, ma accogliere
“Ci sono cose che a scuola non si imparano dai libri, ma dagli sguardi, dai silenzi, da un adulto che sceglie di esserci davvero.” La scuola dovrebbe essere molto più di un luogo di voti e interrogazioni. Dovrebbe essere uno spazio dove gli studenti imparano a scoprire chi sono, a esplorare le proprie passioni, e a commettere errori senza paura, perché è proprio attraverso l’errore che si cresce. Eppure, spesso l’attenzione è focalizzata solo sul rendimento, senza considerare che dietro ogni ragazzo c’è una storia, un mondo interiore complesso.
Quando un insegnante sceglie di ascoltare, non di giudicare
Mi ricordo che quando ero in terza o quarta superiore attraversavo un periodo difficile. Come tanti ragazzi della mia età, mi sentivo perso tra le trasformazioni familiari, fisiche ed emotive. Non andavo bene in molte materie, facevo numerose assenze e ogni giorno mi sembrava più complicato del precedente. Un giorno, una professoressa mi chiamò alla cattedra per interrogarmi. Ero convinto che sarebbe stata l’ennesima esperienza negativa, l’ennesimo voto che avrebbe pesato sul registro. Avevo già la testa bassa, convinto di non sapere abbastanza, di non essere all’altezza. Ma appena mi fu vicino, abbassò la voce e mi disse che non era sua intenzione interrogarmi davvero. In quel momento, capii che voleva solo parlarmi, sapere come stavo, capire cosa stessi attraversando.
Un gesto semplice può cambiare tutto
Quello che mi colpì di più fu il modo in cui lo fece. Non mi mise in difficoltà davanti alla classe, non attirò l’attenzione su di me. Parlava a voce bassa, assegnava compiti agli altri studenti, simulava un’interrogazione vera e propria. Nessuno si accorse di nulla, e io mi sentii protetto, ascoltato, riconosciuto. Mi guardò e mi chiese semplicemente come stavo. Mi diede quel tempo per parlare di me, per raccontarle cosa stavo provando. Fu un gesto semplice, ma potentissimo. Quella donna, quell’insegnante, in quel momento non era solo una professoressa. Era un’adulta che si prendeva cura di un ragazzo. Mi insegnò che a volte basta poco per fare la differenza nella vita di qualcuno: uno sguardo, una parola, un gesto discreto. In quel gesto c’era ciò che ogni adulto può rappresentare per un giovane in difficoltà: una presenza che ascolta, accoglie e guida. Per molti genitori questo interrogativo è vivo ogni giorno: Come posso essere d’aiuto a mio figlio? Ne parlo anche qui: Cosa posso fare con mio figlio?
L’errore come strada per conoscersi
Forse la cosa più bella della psicologia analitica di Jung è il concetto di individuazione, che può essere riassunto nella frase emblematica di Nietzsche: “Diventa ciò che sei”. I bambini crescono osservando, imitando, ma poi arriva un momento in cui devono staccarsi da quell’imitazione e trovare la propria strada.
“Diventa ciò che sei”: l’individuazione tra sbagli e consapevolezza
L’oracolo di Delfi diceva “gnōthi sautón”, conosci te stesso, e la prima condizione per diventare se stessi è proprio questa: conoscersi, scoprire le proprie potenzialità, accettare le proprie vulnerabilità. Ma come si fa a conoscersi davvero, se non si ha lo spazio per sbagliare? Jung diceva che per individuarsi bisogna uscire dai comportamenti collettivi, non adattarsi ciecamente, ma trovare il proprio modo di essere nel mondo. E per farlo, è necessario attraversare tentativi ed errori, cadute e risalite. È necessario sbagliare.
Il valore dell’errore nella scuola e nella vita
Per questo, la scuola dovrebbe essere un luogo dove l’errore non è una condanna, ma un’opportunità. Un luogo in cui si impara, sì, ma soprattutto si diventa. Perché è proprio attraverso gli errori che si cresce, si impara e si diventa più consapevoli di chi siamo e di chi vorremmo diventare. “L’individuazione non è un percorso lineare, ma fatto di tentativi, inciampi e ripartenze. L’identità, infatti, non è qualcosa di fisso, ma qualcosa che si costruisce nel tempo, spesso passando attraverso l’errore. Ne parlo anche nell’articolo dedicato al Paradosso di Teseo, che esplora proprio il senso del “diventare se stessi” in un mondo che cambia: Chi sei davvero? Psicologia e il paradosso di Teseo.
È proprio qui che l’errore assume il suo valore più profondo: non come fallimento, ma come parte del processo di diventare se stessi. Ecco perché la scuola dovrebbe essere prima di tutto uno spazio sicuro dove sperimentare, commettere un errore e imparare a conoscersi. Perché senza il diritto di sbagliare, non c’è vera crescita, non c’è scoperta, non c’è individuazione”.
L’isolamento sociale è un fattore determinante per il consumo continuato di droghe
Le dipendenze sono l’unica scelta?
C’è sempre questa facilità di giudizio, leggevo di queste dichiarazioni, tra cui: “La droga è m**da e chi si droga è un cogl**ne”
C’è sempre questa facilità di giudizio sugli altri, senza neanche sapere da dove l’altro viene, che storia porta con sè e di sè, quando basterebbe provare a volte a mettere i piedi nelle scarpe dell’altro per capire dove e come noi saremmo potuti arrivare e con quali difficoltà o se non avremmo addirittura fatto di peggio.
C’è sempre questa facilità di giudizio, quando si parla di dipendenze e c’è chi è dipendente dal gioco d’azzardo, dal sesso, da una persona, dai social, dal cibo, dall’alcool, dallo shopping, non solo dalle droghe, e le dipendenze sono, semplificando, “l’unica scelta”, ma dobbiamo capirne di più, dobbiamo andare oltre, anche perchè quasi tutto quello che pensiamo di sapere sulla dipendenza potrebbe essere sbagliato.
L’esperimento del RAT-PARK
Negli anni 60, hanno fatto un esperimento: hanno preso un ratto, l’hanno messo in una gabbia singola e gli hanno dato due bottiglie di acqua, una contenente acqua fresca e l’altra acqua con la droga che da più dipendenza, l’eroina; il topo preferiva sempre l’acqua con la droga e consumava, in molti casi, tutta la quantità fino a procurarsi la morte.
Alla fine degli anni 70 il professore Bruce Alexander, docente di psicologia dell’università di Vancouver, ha osservato questo esperimento notando però che il ratto di turno era sempre messo in gabbia da solo, quindi decise di costruire una gabbia collettiva enorme, quasi 200 volte più grande: un RAT-PARK, ovvero un parco giochi per topi, abbellito con alberi ed elementi naturali dove vennero anche inseriti altri topi provenienti dal mondo esterno.
A questo punto, tutti i topi, sia quelli in gabbia che quelli nel parco, avevano sempre accesso alla possibilità di bere i due liquidi, ma mentre quelli in gabbia singola preferivano sempre l’acqua con l’eroina, i topi nel RAT-PARK preferivano maggiormente l’acqua fresca senza nessuna aggiunta di altre sostanze.
L’esperimento del RAT-PARK ha dimostrato che l’isolamento sociale è un fattore determinante per il consumo continuato di droghe.
La libertà e la compagnia dell’altro fanno calare drasticamente la dipendenza; l’opposto della dipendenza non è la sobrietà, ma la relazione.
Cosa s’intende per dipendenza?
Con il termine dipendenza si intende una condizione in cui l’organismo ha bisogno di una determinata sostanza per funzionare e sviluppa una dipendenza fisico-chimica da essa.
Non esiste una teoria unitaria a proposito dell’uso e della dipendenza da sostanze psicoattive o, più in generale, dell’addiction.
Spesso il termine addiction è usato come sinonimo di dipendenza, tuttavia il termine addiction, denota la dipendenza che spinge l’individuo alla ricerca dell’oggetto di dipendenza, senza il quale la sua esistenza diventa priva di significato: è dunque un coinvolgimento crescente e persistente della persona al punto che l’oggetto di dipendenza pervade i suoi pensieri ed il suo comportamento.
Lo psicologo Stanton Peel sostiene che la dipendenza non è una patologia cronica del cervello o un fenomeno biologico, ma un processo che può essere indagato solo soggettivamente in termini di valori, finalità, motivazione, esperienza, relazioni.
L’uso di sostanze da parte dell’essere umano è situato in un’ecologia, in cui i fattori biologici, psicologici e sociali si incontrano ed esercitano reciproca influenza sui risultati.
Tra alcune delle principali ipotesi e teorie di riferimento citiamo: L’approccio neurobiologico: sistema di reward, neurotrasmettitori e neuroadattamento, L’ipotesi di automedicazione, La teoria dell’attaccamento, Le teorie cognitivo-comportamentali e La teoria sociocognitiva di Bandura.
L’ipotesi di automedicazione di cosa parla?
La SMH, Self-Medication Hypothesis o ipotesi di automedicazione di E.J. Khantzian deriva dalla prospettiva psicodinamica ed è guidata da un approccio umanistico al paziente, è applicabile anche alle dipendenza senza uso di sostanze, ovvero alle new addictions.
Questa ipotesi, formulata negli anni Settanta dice che le droghe diventano additive perché hanno l’effetto potente di alleviare, rimuovere o cambiare il dolore e la sofferenza psicologica, sentita come insopportabile.
Le droghe riducono la rabbia, l’ansietà, la depressione e stati affettivi dolorosi e non è tanto il piacere che i dipendenti cercano, quanto piuttosto di regolare le loro emozioni e scappare da sentimenti costanti di deprivazione, vergogna e inadeguatezza; l’automedicazione, quindi è parte del sistema difensivo e di adattamento.
Edward Khantzian, dopo la casistica dei soggetti da lui trattati, dice che il tipo di droga era selezionato in modo tale che le proprietà farmacologiche della sostanza fossero idonee ad alleviare gli stati affettivi disturbanti del soggetto. Le droghe, quindi, vengono scelte attraverso successivi tentativi in cui i consumatori si imbattono in una droga che allevia specifici affetti.
Quale droga viene scelta e perchè?
La maggior parte preferisce una classe specifica di droghe che induce determinati effetti e viene incontro ai bisogni psicologici centrali della persona, nello specifico:
a) gli oppiacei vengono assunti per fronteggiare stati di disforia (disturbo dell’umore affine agli stati di depressione e di irritazione; opposto di euforia) associati ad aggressività e rabbia;
b) gli stimolanti e la cocaina vengono assunti per fuggire da uno stato depressivo e di vuoto, per alleviare sentimenti di noia, morte interna e mancanza di significato nella vita (vengono anche usati da persone con disturbi dell’attenzione per i loro paradossali effetti calmanti);
c) i sedativi e l’alcol vengono utilizzati per fare cadere le inibizioni e l’ipercontrollo e per ridurre la tensione e gli stati ansiosi;
d) la cannabis e gli allucinogeni vengono usati per combattere l’isolamento.
Esistono a supporto della teoria dell’automedicamento alcuni studi sperimentali, tra questi particolarmente interessante è quello condotto nel 1977 da Wusmer L. e Pecksnifr Mr.
Si tratta di una ricerca in cui un gruppo di eroinomani è stato trattato con doxepina (antidepressivo) e paragonato ad un gruppo di controllo trattato con placebo. L’antidepressivo ha provocato una significativa riduzione del craving ovvero del desiderio incontrollabile di assumere la sostanza, in questo caso l’eroina.
Gli autori, quindi, conclusero che gli eroinomani fossero affetti da sindrome ansioso-depressiva che andava in remissione per effetto del trattamento di un farmaco antidepressivo.
Per quel che riguarda le new addictions è stato ipotizzato che, anche per queste dipendenze, possa essere valida la teoria di Khantzian.
Quali dipendenze sono più complicate da superare?
In ordine di difficoltà, secondo Stanton Peel, le sette dipendenze più complicate da superare:
“Come devo comportarmi con mio figlio?” o “Noi come genitori stiamo facendo il bene di nostro figlio?
Queste o altre domande simili, sono quasi sempre le stesse che raccolgo nel primo o secondo incontro dell’Assessment collaborativo familiare, dove sono presenti entrambi i genitori, il figlio/a, sia che sia minorenne che maggiorenne, fratelli o sorelle, ed eventualmente altri adulti di riferimento.
Il percorso di psicoterapia familiare può consentire di riscrivere una storia familiare più accurata e di ristabilire le appropriate gerarchie strutturali nella famiglia di ciascun membro familiare da parte degli altri.
Tale percorso può permettere anche di de-triangolare, (il termine triangolazione identifica una specifica dinamica relazionale nella quale la comunicazione e le interazioni tra due individui non avvengono direttamente, ma sono mediate da una terza persona) ovvero di evitare quindi che il figlio viva al posto dei genitori le loro dinamiche disfunzionali.
Per approfondire il concetto di triangolazione e il ruolo della terapia familiare, puoi consultare questo interessante articolo delle teorie di Murray Bowen e Jay Haley.
L’assessment collaborativo familiare è rivolto alla gestione e risoluzione di momento di crisi, all’elaborazione cognitiva, emotiva e relazionale delle personali difficoltà e al miglioramento della propria qualità di vita.
Se senti che potrebbe esserti utile un supporto psicologico ma non sai quale professionista faccia al caso tuo, ti consiglio di leggere il mio articolo su Come scegliere lo psicoterapeuta più adatto?.
“Perchè sento di aver sbagliato con mio figlio?”
Alla fine del percorso avremo modo di rispondere assieme, in modo collaborativo, a tutte le vostre domande, questo grazie ai test che utilizzeremo proprio con la finalità di aumentare la nostra consapevolezza su tutte le dinamiche relazionali nonché comprendere il funzionamento personologico di tutti i membri familiari.
Massimo Recalcati, psicanalista e saggista italiano, in una delle tante conferenze, dopo l’analisi della figura del padre e della madre, completa un’ideale trilogia soffermandosi sulla figura del figlio, con il suo libro “Il segreto del figlio” ci dice che il compito primo, il più alto e il più difficile dei genitori è quello di avere fede nel segreto incomprensibile del figlio e nel suo splendore.
Recalcati continua dicendo, al Festivaletteratura di Mantova: “Ogni figlio è una poesia. In che senso un figlio è una poesia?
Una poesia esiste quando abbiamo un certo rapporto tra il linguaggio e la parola, non c’è poesia senza linguaggio, la condizione della poesia è l’esistenza del linguaggio, la condizione del figlio è l’esistenza dei genitori, non c’è poesia senza linguaggio cosi come non c’è figlio senza genitori.
La poesia è già tutta contenuta nel linguaggio? No, perché ci sia poesia, bisogna che ci sia un evento, c’è bisogno di un’invenzione, c’è bisogno di una creazione.
Il linguaggio offre lo strumento perchè la poesia generi una creazione nuova ed è esattamente il problema del figlio.
Il figlio è una poesia perché origina dal linguaggio, cioè dai suoi genitori, dalla vita dell’altro, ma il suo compito è diventare poesia, cioè diventare qualcosa che non era previsto dall’altro, qualcosa di nuovo, una vita differente, dalla vita dell’altro, in questo senso ogni figlio è uno sforzo di poesia.
Ogni figlio ha la sua provenienza nell’altro, ogni figlio proviene dai suoi genitori ma il compito di ogni figlio è farsi vita differente dalla vita dei suoi genitori.
Ogni genitore si trova, prima o poi, a porsi domande difficili sul proprio ruolo e sul benessere dei figli. L’Assessment Collaborativo Familiare offre uno spazio per comprendere meglio le dinamiche relazionali, sciogliere nodi comunicativi e ritrovare una nuova armonia. Non si tratta di cercare colpe, ma di costruire consapevolezza e nuove possibilità di relazione.
Se senti che è il momento di approfondire queste tematiche e vuoi capire se questo percorso può fare al caso tuo, contattami per un primo confronto. Insieme possiamo trovare il modo migliore per supportare la crescita e l’equilibrio della tua famiglia.
Non tutti gli psicoterapeuti lavorano allo stesso modo: ecco le 5 macrocategorie (+1) per scegliere meglio!
Cerchiamo di scoprirlo assieme
Scegliere il giusto psicoterapeuta è un passo fondamentale per intraprendere un percorso di crescita e cambiamento. L’Ordine degli Psicologi ha fornito alcune indicazioni utili su questo tema: Come scegliere uno psicoterapeuta. Esistono diversi approcci terapeutici, e capire quale sia il più adatto alle proprie esigenze può fare la differenza. Per aiutarti nella scelta, possiamo suddividere i principali orientamenti della psicoterapia in cinque (5) macrocategorie, più una (1) sesta che li integra.
(1) ti senti che il tuo comportamento è guidato da motivi inconsapevoli e vuoi di conseguenza fare chiarezza sulla tua storia evolutiva? Potrebbe interessarti uno pscioterapeuta che ha un approccio Psicodinamico, Psicanalitico, Analitico-Transazionale;
(2) ti senti che l’aspetto inconscio non sia rilevante ma pensi piuttosto che sia più interessante cambiare il tuo modo di pensare piuttosto che altro? Potrebbe interessarti uno psicoterapeuta che ha un approccio Cognitivista;
(3) ti senti di non voler esplorare il tuo passato ma vuoi semplicemente cambiare il tuo comportamento nell’immediato, nel “qui ed ora”? Potrebbe interessarti un approccio Comportamentista o Strategico;
(4) ti senti di voler lavorare a livello delle emozioni senza concettualizzare eccessivamente? Potrebbe interessarti un approccio Gestaltico;
(5) ti senti che intendi lavorare a livello familiare e non solo in modo individuale? Potrebbe interessarti uno psicoterapeuta cha ha un approccio Sistemico-Relazionale.
Ti riconosci in più approcci teorici tra quelli appena elencati?
Potrebbe interessarti uno psicoterapeuta che ha un approccio Integrato (ovvero un approccio che si fonda su più costrutti e modelli teorici di riferimento).
Il mio approcciocome psicoterapeuta
Personalmente, il mio metodo si basa su un approccio Integrato, che unisce elementi della psicoterapia Psicodinamica (1) e Sistemico-Relazionale (5), per offrire un percorso su misura, capace di tenere conto sia della storia individuale che delle dinamiche relazionali.
Se vuoi approfondire come la terapia può aiutarti a trovare un equilibrio nelle relazioni, ti consiglio di leggere il mio articolo su La giusta distanza in psicoterapia.
Vuoi approfondire o hai dubbi su quale sia l’approccio migliore per te? Prenota un primo colloquio per esplorare insieme il percorso più adatto alle tue esigenze. Contattami per maggiori informazioni!
Assessment collaborativo La Spezia: un percorso breve e partecipativo per conoscere meglio se stessi.
Studio di Psicologia – Dott. Alessio Novarelli
🟪 Cos’è l’Assessment Collaborativo La Spezia
L’Assessment Collaborativo a La Spezia è una modalità di intervento psicologico breve (di solito tra 8 e 12 incontri), in cui il cliente è coinvolto attivamente nell’esplorazione della propria storia e del proprio funzionamento personale.
A differenza della classica valutazione psicodiagnostica, questo approccio è già un intervento terapeutico. Si usano test psicologici in modo collaborativo, costruendo insieme nuove chiavi di lettura e possibilità di cambiamento.
🟦 Come funziona?
Si inizia formulando insieme alcune domande importanti, che rappresentano il focus dell’intervento:
“Perché reagisco sempre in questo modo?”
“Perché mi sento bloccato in certe situazioni?”
“Quali risorse ho che non riesco a vedere?”
I test psicologici vengono scelti sulla base di queste domande e discussi non come “giudizio”, ma come strumenti per riflettere insieme.
🟨 Cosa succede alla fine del percorso
Alla conclusione del percorso, si condivide con il cliente un momento di restituzione, sia orale che scritta, attraverso una lettera personalizzata che raccoglie le scoperte emerse e indica le possibili strade future.
A volte l’Assessment è sufficiente da solo. Altre volte può aprire la strada a un eventuale percorso di consulenza o psicoterapia.
🟥 A chi è rivolto
L’Assessment Collaborativo è adatto a:
Adulti
Coppie
Famiglie con bambini
Famiglie con adolescenti
È utile quando si attraversano momenti di confusione, disagio, blocco, o si cerca una nuova comprensione di sé o delle proprie relazioni.
Questo approccio è stato sviluppato da Stephen Finn ad Austin (Texas) e si fonda su modelli clinici solidi, come:
la fenomenologia
la psicoanalisi intersoggettiva
la psicologia narrativa
Numerose ricerche ne confermano l’efficacia nel favorire cambiamenti positivi, migliorare l’autostima e la comprensione di sé.
In sintesi, l’Assessment Collaborativo a La Spezia si propone come un intervento psicologico breve, mirato e partecipativo, adatto a chi desidera comprendere meglio se stesso in un contesto clinico empatico e strutturato.
Scoprire se stessi è un viaggio di consapevolezza: attraverso l’assessment terapeutico puoi dare un nuovo significato alla tua storia e costruire il cambiamento.
Studio Clinico Il Baobab, La Spezia – Dott. Alessio Novarelli – Psicologo, Psicoterapeuta
Il bisogno umano fondamentale è quello di essere riconosciuti e compresi
L’Assessment Collaborativo è un processo terapeutico che aiuta le persone a comprendere meglio se stesse. Attraverso strumenti specifici, offre una maggiore consapevolezza e prepara il terreno per un percorso di psicoterapia più efficace
Tutti noi costruiamo delle storie su noi stessi basandoci sulle nostre esperienze di vita. Queste narrazioni plasmano il nostro modo di vedere il mondo e di interagire con esso. Tuttavia, col passare del tempo, alcune di queste storie possono rivelarsi incomplete, imprecise o addirittura limitanti.
Quando le convinzioni che abbiamo su noi stessi non rispecchiano più la nostra realtà interiore, può emergere un senso di insoddisfazione o di confusione. È qui che il percorso di conoscenza di sé diventa essenziale: rielaborare e ricostruire la propria narrazione in modo più autentico, coerente e compassionevole.
Che cos’è un assessment collaborativo ?
L’assessment collaborativo è un processo di valutazione psicologica che aiuta le persone a comprendere meglio se stesse. Il termine “assessment” si riferisce all’analisi delle caratteristiche individuali attraverso strumenti specifici, al fine di ottenere una visione più chiara di sé. L’assessment collaborativo non è solo una valutazione, ma un vero e proprio primo passo del percorso terapeutico, aiutando già da subito la persona a sviluppare maggiore consapevolezza di sé e a dare un nuovo significato alla propria storia.
Come funziona l’assessment collaborativo?
L’assessment inizia con l’individuazione di domande chiave che la persona si pone su se stessa. Queste domande guidano il processo e determinano quali strumenti di valutazione siano più adatti. I test utilizzati sono scientificamente validati e forniscono dati oggettivi, ma il loro valore più grande emerge quando vengono interpretati nel contesto della storia unica di ogni individuo.
Ogni persona è diversa e, per questo motivo, lo stesso risultato di un test può avere significati differenti a seconda della situazione e della storia personale. L’integrazione tra dati psicometrici e narrazione personale consente di ottenere una comprensione più profonda e utile per il cambiamento.
Dall’analisi alla trasformazione: il ruolo del feedback
Il percorso di assessment si conclude con un feedback dettagliato. Viene fornita una sintesi chiara dei risultati, spesso sotto forma di lettera rivolta al cliente, che spiega in modo empatico e comprensibile le informazioni emerse durante il processo. Questo passaggio è cruciale perché permette alla persona di sentirsi riconosciuta e di trovare nuove prospettive per affrontare la propria vita con maggiore consapevolezza.
Grazie a questo percorso, la persona può sviluppare una nuova narrazione di sé, più autentica e libera da schemi imposti dal passato. Scopri di più su come la terapia aiuta a costruire la giusta distanza nelle relazioni e con il proprio passato.
Un percorso di crescita personale
Credo fermamente che ogni individuo, se supportato adeguatamente, possa trovare dentro di sé le risorse necessarie per affrontare le sfide e costruire una vita più appagante. L’assessment collaborativo non è solo una valutazione, ma un’opportunità di trasformazione, un viaggio di conoscenza di sé che permette di riscoprire la propria autenticità e il proprio potenziale.
Per approfondire i principi dell’Assessment Terapeutico, puoi guardare questo video in cui il Dott. Stephen Finn ne parla in dettaglio: [YouTube link].
Se vuoi approfondire il mio approccio terapeutico e scoprire come posso aiutarti a sviluppare una base sicura interiore, visita la mia pagina [link articolo].
Vuoi capire meglio come funziona l’assessment collaborativo e se può esserti utile? Contattami telefonicamente o via WhatsApp!
Webinar rivolto ai Volontari ETS della provincia di La Spezia – Dott. Alessio Novarelli
Vivere Insieme organizza un webinar formativo per volontari
L’impatto psicologico della pandemia in corso sta creando significative difficoltà a singoli, famiglie e organizzazioni nelle quali i volontari sono impegnati in prima linea a fronteggiare l’epidemia nei vari setting del servizio sociale e sanitario.
Pertanto sono proprio i volontari impegnati nelle relazioni di aiuto quelli maggiormente esposti al rischio di infezioni, ad un sovraccarico emotivo, a fatica fisica ed in alcuni casi ad una precarietà organizzativa.
Tutti questi fattori rappresentano per i volontari una seria e pericolosa fonte di stress.
Questo breve percorso formativo, articolato su due appuntamenti, sarà realizzato con l’utilizzo di una metodologia attivo-partecipativa basata sul cooperative learning, puntando soprattutto sul coinvolgimento e la partecipazione dei corsisti.
Ai partecipanti sarà somministrato un questionario anonimo relativo al benessere psicologico e gli stessi saranno invitati a collaborare attraverso la creazione di piccoli gruppi.
Il presupposto è che attraverso la cooperazione e l’interazione con gli altri si possano sviluppare competenze sociali, comunicative e relazionali, nonché un incremento dell’autostima e del senso di autoefficacia.
Il percorso è articolato su due incontri che si svolgeranno martedì 16 e martedì 23 marzo dalle ore 16:00 alle ore 18:00
Il Docente del corso sarà il Dott. Alessio Novarelli psicologo.
L’iscrizione che dovrà essere effettuata entro giovedì 11 marzo è obbligatoria e valida per ambedue le giornate su cui è articolato il percorso formativo
Il webinar si svolgerà su piattaforma Microsoft Teams. Lunedì 15 marzo Il CSV inoltrerà via mail agli iscritti il link utile a partecipare alla formazione.
Quando i giapponesi riparano un oggetto rotto, valorizzano la crepa riempiendo la spaccatura con dell’oro.
Essi credono che quando qualcosa ha subito una ferita ed ha una storia, diventa più bello.
Questa tecnica è chiamata Kintsugi.
Rendere belle e preziose le “persone” che hanno sofferto, riparare e ricucire le ferite, guardare con prospettive diverse le cose che ci sono successe, questa tecnica si chiama psicoterapia.
Il dolore è parte della vita.
A volte è una parte grande, e a volte no, ma in entrambi i casi, è una parte del mosaico.
Il dolore fa due cose: ti insegna, ti dice che sei vivo.
Poi passa e ti lascia cambiato.
E ti lascia più saggio, a volte.
In alcuni casi ti lascia più forte.
In entrambe le circostanze, il dolore lascia il segno, e tutto ciò che di importante potrà mai accadere nella tua vita lo comporterà in un modo o nell’altro.
Dott. Alessio Novarelli – Studio di Psicologia, Psicoterapia – La Spezia
Guardare le stesse cose con occhi nuovi
La grande sfida è quella di trovare nuove regole, nuovi equilibri, pensieri nuovi, elaborare strategie, poter ricominciare a progettare con leggerezza, con tempi lenti; guardare le stesse cose con occhi nuovi e a trovare piccole soluzioni.
“La felicità non dipende da quello che ci manca ma dal buon uso di quello che abbiamo” Thomas Hardy
La grande sfida è quella di fare buon uso di quello che si ha, di quello che abbiamo, rimanendo nel presente, un invito a stare, nel presente, piuttosto che soffermarci a quello che ci manca, in ottica di passato o di futuro.
Ora più che mai, però, nel nostro presente, regna un senso di smarrimento, di sfiducia, di disorientamento, per cui appare ancora più vitale costruire legami per gestire l’imprevisto e l’incertezza.
“Bisogna apprendere a navigare in un oceano di incertezza attraverso arcipelaghi di certezza” Edgar Morin
La grande sfida è quella di avere e di poter sentire i nostri arcipelaghi di certezza, questo ci permetterà di poter utilizzare la nostra bussola che ci orienterà nell’incertezza.
I nostri arcipelaghi si formano attraverso le esperienze, le relazioni, l’ambiente e le emozioni.
“Il tempo per leggere come il tempo per amare dilata il tempo per vivere” Daniel Pennac
Non c’è nulla, al pari di un libro, in grado di fermare il tempo e dilatare la nostra vita; forse dice Pennac, solo l’amore, ha questo straordinario potere.
Apriamo i libri per vivere, ma aggiungo non solo quelli, possiamo utilizzare tutto quello che ci permette di viaggiare nel tempo, di sospenderlo o di dilatarlo, a seconda dei nostri interessi ma anche della nostra passione.
La grande sfida è quella di coltivare la nostra curiosità, che è un comportamento, un istinto, che nasce dal desiderio di sapere qualcosa e rappresenta inoltre una guida dalla quale deriva una parte della nostra motivazione.
La grande sfida è quella di continuare ad essere motivati nell’affrontare ciò che si presenterà a noi e nel trovare tutti i giorni piccole soluzioni.