L’ Assessment Collaborativo è una particolare modalità di valutazione psicologica nella quale i clienti sono coinvolti attivamente come collaboratori nell’interpretazione dei risultati dei test.
Psicoterapia
È un intervento psicologico breve (8-12 colloqui) che ha l’obiettivo di esplorare il funzionamento della personalità, portando alla luce i punti di forza e i punti critici da elaborare attraverso l’uso di test psicologici. I test sono usati in modo collaborativo, cioè coinvolgendo attivamente il cliente nel cogliere parallelismi tra quello che succede ai test e quello che accade nella propria vita, riflettendo insieme su modi alternativi di comportarsi che potrebbero risultare più utili e funzionali.
L’intervento comincia nell’aiutare il cliente a formulare delle domande su ciò che vorrebbe comprendere meglio riguardo se stesso, domande che costituiranno il focus dell’Assessment. Dopo il percorso breve basato su test e colloqui, si conclude con una “restituzione” in forma sia orale sia scritta (attraverso una lettera che si consegna al cliente) di quanto emerso durante il percorso psicologico.
Solo in alcuni casi si consiglierà di proseguire con una serie di colloqui di consulenza psicologica. La base teorica e metodologica da cui trae origine questo approccio semi strutturato è l’Assessment Terapeutico sviluppato da Stephen Finn ad Austin (Texas). Numerosi studi confermano che questo tipo di valutazione psicologica che, a differenza della valutazione psicodiagnostica tradizionale, è già una valutazione-intervento, favorisce cambiamenti positivi nei clienti.
Terapia familiare La Spezia
L’intervento può essere pensato per adulti, coppie, famiglie con bambini e famiglie con adolescenti.
L’Assessment Collaborativo è utile quando le persone sono afflitte dai problemi che non sono in grado di capire o di risolvere in altri modi.
Studio Clinico Il Baobab, La Spezia – Dott. Alessio Novarelli – Psicologo
Il bisogno umano fondamentale è quello di essere riconosciuti e compresi
Tutti abbiamo storie su noi stessi che abbiamo creato sulla base delle nostre esperienze di vita e che hanno un’importanza fondamentale nel nostro modo di vivere il mondo.
Sfortunatamente, sebbene queste storie possano essere servite in passato non sono poi così accurate e in momenti successivi possono non essersi rilevate più così utili.
Quindi , ciò che accade è che la persona sviluppa attraverso il processo di assessment, una storia più coerente, accurata, compassionevole e utile riguardo sè stessa. (Stephen E. Finn)
Che cos’è un assessment?
L’assessment è un termine inglese difficilmente traducibile connesso a “la comprensione delle caratteristiche” di una persona o di eventi che la riguardano.
Che cosa succede durante l’assessment?
Nell’assessment terapeutico, i clienti rivolgendosi allo psicoterapeuta sono invitati ad intercettare delle proprie domande, domande specifiche che ciascun cliente pone su sé stesso.
Sulla base di queste domande, si decide che test potrebbero essere utili.
Questi strumenti sono stati sottoposti ad una rigorosa valutazione per assicurarsi che siano validi a livello psicometrico e che tali punteggi standard e parametri che ne derivano abbiano una base fondata empiricamente e che quindi siano rappresentativi.
Sappiamo che un punteggio di una persona in un test mostra di lei qualcosa, che potrebbe essere però differente da ciò che significa per un’altra persona.
Mettere insieme le varie informazioni e conoscere la persona e la sua storia in modo collaborativo, permette al cliente di sviluppare consapevolezza, facilitando così il cambiamento.
L’assessment si conclude, fornendo un feedback, un riepilogo al cliente, scrivendo una lettera che spiega l’intero processo; alle domande del cliente vengono date le risposte utilizzando i risultati dei test.
Credo che ogni persona, se supportata, possa trovare i passi giusti da fare per costruire una vita migliore.
Dott. Alessio Novarelli – Progetto di Istituto – Fossati Da Passano, La Spezia
“Spesso una debolezza, un incidente, un handicap ci inducono a cercare soluzioni ai problemi che ci pongono e questo tentativo apre delle porte impreviste” Dominique Dupuy
Definizione e analisi del problema
La crescita, lo sviluppo e l’apprendimento degli studenti, sono strettamente correlati alla socializzazione, allo stare con gli altri, alle relazioni educative e al vivere esperienze in spazi e tempi pensati appositamente per loro.
Questi percorsi vissuti quotidianamente, sono stati all’improvviso interrotti a causa del COVID 19 insieme alle certezze consolidate nel tempo, ma non si è rotto il bisogno di relazioni, di continuare a vedersi e incontrarsi.
La pandemia ha stravolto ciò che prima costituiva una fonte di stabilità e sicurezza per cui tutti noi abbiamo incontrato numerose difficoltà, ma in modo particolare il mondo scolastico degli studenti, e dei docenti.
Sono sorte pertanto norme restrittive che hanno impedito la frequentazione in presenza negli istituti scolastici.
Si è creato, attraverso la DAD (didattica a distanza), un sistema che potesse mantenere, anche in questa situazione di emergenza, una continuità didattica e che ristabilisse la quotidianità scolastica.
Il nostro progetto nasce proprio come supporto psicologico per rispondere a eventuali traumi e disagi derivanti dall’emergenza anche al fine di prevenire l’insorgere di forme di disagio e di malessere psicofisico.
L’intervento pensato ha anche la necessità di poter aver seguito e collaborazione con lo sportello CIC gia presente e attivo nell’Istituto.
È nato per i ragazzi, ma – complice la loro assenza dai banchi per rispettare l’obbligo alla didattica a distanza – è diventato un aiuto importante anche per i loro prof: un ausilio per far fronte all’attività quotidiana a singhiozzo fra presenza e dad e combattere contro mancanze e disagi connessi con questa condizione.
Si tratta del progetto lanciato dall’istituto Fossati-Da Passano intitolato ‘Relazioni tra docenti e studenti e relative osservazione nel periodo dell’emergenza Covid-19’, grazie a cui le due anime della scuola possono seguire un percorso di confronto con lo psicologo Alessio Novarelli.
Percorso finanziato dal Miur, che ha emesso un bando in collaborazione con il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi per attivare progetti e sportelli d’ascolto. Quaranta ore con un ampio ventaglio di obiettivi, ripartendo dalla positiva esperienza del Cic, il Centro informazione e consulenza già attivo nell’istituto; primo fra tutti, ridurre le distanze create dalla situazione fra studenti e docenti, portare i ragazzi a riconoscere i propri bisogni e trovare le risorse per chiedere aiuto.
“La sensazione – spiega Novarelli – è quella di impotenza e isolamento, che saranno portate nella prossima esercitazione: strategia di gestione e intervento. Si sono sentiti inutili, pensano di non aver tutto il tempo e i mezzi per ascoltare i ragazzi in momenti di difficoltà, hanno avvertito difficoltà di parlare di questi aspetti e creare una relazione in dad: modalità che ha penalizzato la percezione delle emozioni a distanza. Mancano le cose basilari: anche spostarsi fra i banchi era un modo per legare e creare connessione e non può più esser fatto.
Rispetto al primo lockdown, in cui prevalevano l’incredulità, la novità e la spinta, ora si punta di più all’adattamento alla nuova sensazione”.
Il cammino proseguirà al fine di aumentare le strategie di intervento e comunicazione all’interno dei gruppi di insegnanti: ecco il pass per accrescere il senso di efficacia e rompere quello di impotenza ed isolamento.
INDAGINE nella popolazione Spezzina sull’impatto che ha avuto l’attuale pandemia Covid-19 sulla percezione del nostro benessere fisico, psichico, sociale ed economico.
La compilazione, che richiede circa 5 minuti di tempo è in forma anonima, non necessita di nessuna registrazione e non vi è nessuna obbligatorietà di nessun genere. Non vi è nessun possibile rischio a parteciparvi, in quanto si tratta di una rilevazione delle opinioni e percezioni delle persone in merito all’attuale pandemia.
Lo Studio Clinico Il Baobab continuerà a raccogliere i Vostri questionari, che fino ad oggi sono giunti numerosi; prossimamente Vi renderemo partecipi dei risultati complessivi del nostro territorio Spezzino.
Vi ringraziamo per la Vostra disponibilità e collaborazione e per la Vostra numerosa partecipazione.
INDAGINE nella popolazione Spezzina sull’impatto che ha avuto l’attuale pandemia Covid-19 sulla percezione del nostro benessere fisico, psichico, sociale ed economico.
Quali sono i possibili benefici derivanti dall’indagine?
La raccolta della percezione delle persone che stanno vivendo l’attuale pandemia da Covid-19 riteniamo sia interessante per strutturare possibili ipotesi di futuri interventi nel nostro territorio della Spezia sia in ottica preventiva, per contenere una cronicizzazione dei possibili sintomi che terapeutica.
Lo Studio Clinico il Baobab della Spezia, Vi invita a prendere parte ad un sondaggio per valutare la Vostra percezione relativa all’impatto fisico, psicologico, sociale ed economico che l’infezione Covid-19 ha avuto nella Vostra quotidianità, mettendo in luce, nel caso, le ripercussioni sul Vostro livello di benessere più generale.
Per questo motivo Vi chiediamo la disponibilità a partecipare alla rilevazione.
Se Vi fa piacere, potreste aiutarci nel dare un Vostro contributo al sondaggio.
La compilazione richiede circa 5 minuti attraverso il seguente link: https://lnkd.in/gxgwXgK
L’ emergenza Covid-19 purtroppo sta isolando tutti noi in casa, ma soprattutto per molti bambini , questo si traduce in mancanza di socialità e tantissimo tempo libero a disposizione, soprattutto per i nostri piccoli che non hanno delle video-lezioni in programma.
Senz’altro non è possibile dedicare sempre loro la nostra attenzione, ma ritengo utile suggerire alcuni consigli da seguire per far si, che inizino a gestire il gioco in modo indipendente. Infatti mentre per le generazioni passate, non era nuova consuetudine giocare da soli, per i bambini di oggi il tempo del gioco è sempre limitato in quanto le loro giornate sono scandite da numerose attività che li impegnano in toto. L’organizzazione Mondiale della Sanità suggerisce giustamente che per i piccoli da 2 ai 5 anni di età, non si dovrebbe superare 1 h al giorno di intrattenimento tra televisione, videogiochi, smartphone, per cui occorre trovare nuove strategie per intrattenerli e insegnare loro a giocare in maniera indipendente.
Ecco di seguito alcuni consigli
Osservarli durante il gioco
Una strategia che dovrebbe permettere al bambino di giocare in modo indipendente è questa: stabilite un determinato tempo, (15-20 minuti) con il vostro bambino, durante il quale, spento ogni telefono, starete ad osservarlo, comunicandogli che quel tempo sarà solo dedicato a lui e che il vostro apporto sarà esclusivamente di aiuto e non di proposta ludica. Allo scadere del tempo, sarà per il bambino una grande gratificazione sentirsi dire che è stato bello osservarlo e giocare con lui. Importante: per un bambino che non ha mai giocato da solo, è troppo pretendere che il gioco si prolunghi molto, ad esempio 1 h, quindi si potrebbe iniziare con 5 o 10 min di gioco autonomo rinforzando positivamente ogni frame di tempo che il bambino raggiunge. (anche qualora questo fosse inferiore a quello che il genitore aveva supposto).
Setting stimolante
Pensate a come organizzare l’ambiente di casa, in modo stimolante, così che il bambino possa trovare la voglia e la curiosità di giocare da solo. Lasciate in giro alcuni oggetti o giochi in luoghi inattesi, così da suscitare in lui la curiosità e l’interesse. Scatole aperte di lego e macchinine e/o bambole disposte in fila o in cerchio potrebbero suscitare in lui la voglia di giocarci.
Spazio al disordine
La scelta di un’area della casa in cui i bambini possano giocare liberamente e dare sfogo alla loro fantasia, permetterà loro di rilassarsi, tenendoli impegnati a lungo,senza farsi male. I bambini infatti se non hanno esaurito tutte le loro energie, saranno piuttosto capricciosi.
Per i bambini più fortunati, il giardino costituisce una valida risorsa, perchè possono disporre di spazio in cui giocare, muoversi, fare semplice attività motoria, sperimentare attività di giardinaggio o simili. Per i meno fortunati occorre invece scegliere una zona della casa, in cui possono liberamente giocare e sporcarsi con materiali quali farina, colori, acqua e ideare percorsi con i birilli. Per renderli più sicuri si potrebbe attrezzare la zona in cui giocano con cuscini, tappetini o morbide coperte.
Lasciatevi coinvolgere
Se il vostro bambino sarà consapevole che successivamente anche voi sarete coinvolti nel gioco, troverà maggiore soddisfazione e interesse nel proseguire poi il gioco autonomamente. Le attività in cui un genitore potrebbe inserirsi possono essere per esempio una sfida a nascondere e a trovare un oggetto, o percorsi semplici in sicurezza.
Abbiate pazienza
Non potete pretendere che i vostri piccoli imparino a giocare da soli in breve tempo, perchè tutti i cambiamenti necessitano di tempi lunghi. Se impareranno a giocare in modo indipendente, acquisteranno anche la capacità di elaborare emotivamente quello che sta accadendo intorno a loro, perchè nel loro gioco simbolico insceneranno situazioni che li stanno turbando: il gioco diventa quindi una terapia.
Favorire le routines
L’importante comunque è continuare in questo periodo #iorestoacasa a mantenere costante la ritualità delle abitudini quotidiane proprio per generare in lui un maggior senso di prevedibilità e sicurezza. Risulta utile continuare noi genitori a parlare con loro degli amici e delle maestre del nido ricordando particolari momenti vissuti insieme, proprio al fine di attenuare il distacco dalla loro precedente esperienza pre-scolastica, così come sarà importante prepararli al momento del rientro.
Ancora si potrebbero realizzare disegni e vari elaborati grafico-pittorici da appendere nelle pareti delle loro camerette o in altri luoghi adibiti al gioco, per favorire sempre il loro orientamento temporale e spaziale.
…e la gestione delle emozioni?
I nostri piccoli in questa fascia di età (2-6 anni) non hanno adeguati strumenti cognitivi tali da comprendere le informazioni che giungono loro dai mass-media, anzi sarebbe opportuno limitare al massimo l’esposizione a tali fonti, per cui dovrebbero essere gli adulti a filtrare queste notizie, spiegando loro per esempio che le loro vacanze così prolungate e forzate dipendono da un’influenza che sta circolando intorno a noi ma di cui i dottori si stanno occupando. D’altronde noi adulti costituiamo per loro un importante punto di riferimento su cui il bambino deve contare per controllare le sue paure e se noi ci mostriamo impauriti o agitati anche il nostro piccolo si sentirà in preda ad una realtà minacciosa.
Mi piace concludere con questi pensieri di Antonella Lattanzi:
In questi giorni di chiusura manca a noi tutti l’aria contro la pelle ma presto ci sarà “un’aria tutta diversa che soffia energia vitale dentro di noi, …un’aria piena di coraggio che soffia implacabile per le nostre strade …l’aria di cui è fatta l’immaginazione, un tornado di immaginazione che inventa il futuro che inizia il futuro adesso”.
Il CNOP mette a disposizione dei cittadini che sono in casa per la pandemia una guida in 20 punti per affrontare la situazione con un migliore atteggiamento psicologico e gestire lo stress legato a questa particolare condizione.
Venti punti da seguire, primo tra tutti: gestire lo stress e sviluppare resilienza. Meglio OCCUPARSI che PRE-OCCUPARSI attuando comportamenti irrazionali e controproducenti.
Perchè le paure possono diventare panico e come proteggersi con comportamenti adeguati, con pensieri corretti e emozioni fondate
Questo breve vademecum non vuole essere esaustivo né sostituirsi ad un aiuto professionale. E’ un contributo per riflettere ed orientare al meglio i nostri pensieri, emozioni e comportamenti – individuali e collettivi – di fronte al problema Covid-19. Pochi minuti del vostro tempo per una lettura che ci auguriamo possa esservi utile. David Lazzari – Presidente CNOP – 26 febbraio 2020
La paura è un’emozione potente e utile. E’ stata selezionata dall’evoluzi- one della specie umana per permettere di prevenire i pericoli ed è quindi funzionale a evitarli. La paura funziona bene se è proporzionata ai pericoli. Così è stato fino a quando gli uomini avevano esperienza diretta dei pericoli e decidevano volontariamente se affrontarli oppure no.
Oggi molti pericoli non dipendono dalle nostre esperienze. Ne veniamo a conoscenza perché sono descritti dai media e sono ingigantiti dai messaggi che circolano sulla rete.
Succede così che la paura diventi eccessiva rispetto ai rischi oggettivi derivanti dalla frequenza dei pericoli. In questi casi la paura si trasforma in panico e finisce per danneggiarci.
Facciamo un esempio: dopo l’11 settembre il panico degli statunitensi per il volo in aereo fu tale che molti decisero di spostarsi in macchina. Nel periodo successivo sulle strade morì il doppio delle persone rispetto a quelle che viaggiavano sugli aerei catturati e abbattuti dai terroristi. Il panico si era tradotto in scelte individuali controproducenti che, aggregate, divennero un danno collettivo.
Si ha più paura dei fenomeni sconosciuti, rari e nuovi, e la diffusione del Coronavirus ha proprio queste caratteristiche. A tutt’oggi, i decessi per influenza non da Coronavirus sono molto più frequenti. Di questi però non si ha paura perché ci siamo abituati a tal punto che molti italiani ignorano addirittura i benefici, in chiave preventiva, dei vaccini. Si ripete la differenza tra la paura dei voli in aereo e la scelta volontaria e sotto il nostro controllo di guidare un’automobile.
Per evitare che le paure siano sproporzionate e creino forme di ansia individuale e di panico collettivo proponiamo di condividere un “decalogo antipanico”. Alcune “chiavi di lettura” che possono aiutarci ad evitare due errori possibili: sopravvalutare o sottovalutare (negare) il problema.
Decalogo anti-panico
Attenersi ai fatti, cioè al pericolo oggettivo Il Coronavirus è un virus contagioso ma come ha sottolineato una fonte OMS su 100 persone che si ammalano 80 guariscono spontaneamente, 15 hanno problemi gestibili in ambiente sanitario, solo il 5 hanno problemi più gravi e tra questi i decessi sono circa la metà ed in genere in soggetti portatori di altre importanti patologie.
Non confondere una causa unica con un danno collaterale Molti decessi non sono causati solo dall’azione del coronavirus, così come è successo e succede nelle forme influenzali che registrano decessi ben più numerosi. Finora i decessi legati al coronavirus sono stimati nel mondo sono cento volte inferiori a quelli che si stima causi ogni anno la comune influenza. E tuttavia questo 1% si aggiunge ed è percepito in modo diverso dai “decessi normali”. Finora nessuno si preoccupava di una forte variabilità annuale perché tutti i decessi venivano attribuiti all’influenza “normale”: nell’ultima stagione influenzale sono scomparsi 34.200 statunitensi e, l’anno prima, 61.099.
Se il panico diventa collettivo molti individui provano ansia e desiderano agire e far qualcosa pur di far calare l’ansia, e questo può generare stress e comportamenti irrazionali e poco produttivi.
Farsi prendere dal contagio collettivo del panico ci porta a ignorare i dati oggettivi e la nostra capacità di giudizio può affievolirsi.
Pur di fare qualcosa, spesso si finisce per fare delle cose sbagliate e a ignorare azioni protettivesemplici, apparentemente banali ma molto efficaci (cfr. elenco qui sotto).
In linea generale troppe emozioni impediscono il ragionamento corretto e frenano la capacità di vedere le cose in una prospettiva giusta e più ampia, allargando cioè lo spazio-tempo con cui esaminiamo i fenomeni..
E’ difficile controbattere le emozioni con i ragionamenti, però è bene cercare di basarsi sui dati oggettivi. La regola fondamentale è l’equilibrio tra il sentimento di paura e il rischio oggettivo.
Questa semplice figura permette di vedere la paura del coronavirus in prospettiva.
La figura mostra il fenomeno delle paure nel loro complesso: l’indignazione pubblica sui media accentua alcune paure, come quelle per gli attacchi terroristici e i criminali armati, e induce a sottovalutare altri pericoli oggettivi a cui siamo abituati. Le caratteristiche del panico per coronavirus lo avvicinano ai fenomeni improvvisi e impressionanti che inducono panico perché sollevano l’indignazione pubblica.
Siamo preoccupati della vulnerabilità nostra e dei nostri cari e cerchiamo di renderli invulnerabili. Ma la ricerca ossessiva dell’invulnerabilità è contro-producente perché ci rende eccessivamente paurosi, incapaci di affrontare il futuro perché troppo rinchiusi in noi stessi.
Tre buone pratiche per affrontare il coronavirus
Evitare la ricerca compulsiva di informazioni Abbiamo visto che è normale e funzionale, in chiave preventiva, avere paura davanti ad un rischio nuovo, come l’epidemia da coronavirus: ansia per sé e i propri cari, ricerca di rassicurazioni, controllo continuo delle informazioni sono comportamenti comprensibili e frequenti in questi giorni. E tuttavia la paura si riduce se si riflette sul suo rapporto con i pericoli oggettivi e quindi si sa con chiarezza cosa succede e cosa fare.
Usare e diffondere fonti informative affidabili E’ bene attenersi a quanto conosciuto e documentabile. Quindi: basarsi SOLO su fonti informative ufficiali, aggiornate e accreditate.
Al Ministero della Salute, alla Protezione Civile, e al Sistema sanitario nazionale e regionale lavorano specialisti esperti che collaborano per affrontare con grande rigore, attenzione e con le risorse disponibili la situazione in corso e i suoi sviluppi.
Un fenomeno collettivo e non personale IIl Coronavirus non è un fenomeno che ci riguarda individualmente. Come nel caso dei vaccini ci dobbiamo proteggere come collettività responsabile. I media producono una informazione che può produrre effetti distorsivi perché focalizzata su notizie in rapida e inquietante sequenza sui singoli casi piuttosto che sui dati complessivi e oggettivi del fenomeno. E’ importante tener conto di questo effetto.
Dopo i pensieri e le emozioni, i comportamenti
L’Istituto Superiore di Sanità indica semplici azioni di prevenzione individuale (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/). Eccole qui riassunte:
Evita il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute.
Il lavaggio e la disinfezione delle mani sono la chiave per prevenire l’infezione.
Bisogna lavarsi le mani spesso e accuratamente con acqua e sapone per almeno 20 secondi, fino ai polsi. Se acqua e sapone non sono a portata di mano, è possibile utilizzare anche un disinfettante per mani a base di alcol con almeno il 60% di alcol.
Il virus entra nel corpo attraverso gli occhi, il naso e la bocca, quindi evita di toccarli con le mani non lavate.
Copri bocca e naso se starnutisci o tossisci; usa fazzoletti monouso.
Usa la mascherina solo se sospetti di essere malato o assisti persone malate.
Non prendere farmaci antivirali né antibiotici, a meno che siano prescritti dal medico.
Contatta il numero verde 1500 se sei tornato dalla Cina da meno di 14 giorni e hai febbre o tosse.
Se stai male e hai sintomi compatibili con il Coronavirus, contatta telefonicamente il tuo medico di base o il 118, senza recarti direttamente in ambulatorio o in Pronto
Soccorso (per ridurre eventuali rischi di contagio a terzi o al personale sanitario).
Rispetta rigorosamente solo i provvedimenti e indicazioni ufficiali delle Autorità di Sanità Pubblica: sono una tutela preziosa per te e per tutti.
L’uso regolare di queste azioni elementari riduce significativamente i rischi di contagio per sé, chi ci è vicino e la collettività tutta.
A chi si deve badare nella marea delle notizie
E’ stata chiamata “infodemia” il contagio e la diffusione delle notizie: guardando la tv, aprendo i giornali o andando in rete si viene sommersi da una marea di informazioni di ogni tipo sul Coronavirus: veri esperti e finti esperti, specialisti improv- visati, persone che riportano il “sentito” dire o il “sentito” letto. In questo campo ragionare con il “buonsenso” porta a conclusioni spesso errate.
Va bloccato o ignorato uno stato di “allarme psicologico permanente” che si traduce in “indignazione pubblica”. Si tende così a aumentare la percezione dei rischi e siamo spinti a cercare ossessivamente informazioni più rassicuranti. I media però sono fatti per attirare l’attenzione e ci espongono per lo più a cronache allarmanti facendo cresce la sproporzione tra pericoli oggettivi e paure personali.
Conclusione: riduci la sovraesposizione alle informazioni dei media. Le semplici informazioni sopra riportate sono sufficienti. Una volta acquisite le informazioni di base su che cosa succede e che cosa fare, è sufficiente verificare gli aggiornamenti sulle fonti affidabili sopra indicate. Si hanno così tutte le informazioni necessarie per proteggersi, senza farsi sommergere da un flusso ininterrotto di “allarmi ansiogeni”. E’ bene proteggere anche i bambini. Se ci interrogano, daremo sempre la nostra disponibilità a parlare serenamente di quello che possono aver sentito e li spaventa correggendo un quadro statisticamente infondato.
E’ meglio non esporli alce informazioni allarmistiche di cui sopra.
Agisci collettivamente per un fenomeno collettivo
Anche se tu ti sei fatto un’idea corretta del fenomeno e non provi alcuna paura infondata, è bene cercare aiutare gli altri raccontando in parole semplici il nostro decalogo e le raccomandazioni qui elencate. Devi supplire cioè all’indignazione e panico pubblici suscitati da molti canali media e social fornendo le semplici informazi- oni sopra indicate e ragionando con calma e pazienza invece di ignorare o, peggio, disprezzare chi non sa e si rifiuta di pensare.
Bisogna ricordarsi delle parole di Alessandro Manzoni in relazione alla peste di Milano del Seicento: “il buon senso se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Andiamo a scalzare il senso comune ma non con il buon senso di Manzoni ma con la scienza e la razionalità. La psicolo- gia permette di capire in modo razionale anche quel che non si presenta come tale ma che va capito e rispettato.
Agire tutti in modo informato e responsabile e aiutarsi reciprocamente a farlo, aumenta la capacità di protezione della collettività e di ciascuno di noi.
Non ti vergognare di chiedere aiuto
Se pensi che la tua paura ed ansia siano eccessive e ti creano disagio non avere timore di parlarne e di chiedere aiuto ad un professionista. Gli Psicologi conoscono questi problemi e possono aiutarti in modo competente. Tutti possiamo avere necessità, in certi momenti o situazioni, di un confronto, una consulenza, un sostegno, anche solo per avere le idee più chiare su ciò che proviamo e gestire meglio le nostre emozioni, e questo non ci deve far sentire “deboli”.
Non è debole chi chiede aiuto per aumentare le proprie risorse e quelle dei suoi cari.
(Ringraziamo il Prof. Paolo Legrenzi, docente emerito di psicologia all’università Ca’ Foscari di Venezia ed esperto di psicologia delle emozioni e delle decisioni per la collaborazione).
Forse no, ma quasi certamente l’avete praticato oppure subito. Il phubbing è un termine recente nato dalla fusione delle parole “phone” (telefono cellulare) e “snubbing” (snobbare), e si riferisce appunto all’atto di ignorare o trascurare il proprio interlocutore in un contesto sociale concentrandosi sul proprio smartphone.
Il cellulare è ormai un oggetto onnipresente nelle nostre vite e molti di noi hanno l’abitudine di tenerlo fra le mani e di interagirci continuamente: questo avviene non solo quando per esempio siamo in coda alle poste o sui mezzi pubblici e, soli e annoiati, controlliamo i social o navighiamo sul web, ma anche quando siamo immersi in relazioni sociali, in famiglia, con i colleghi, tra amici e in coppia.
La ricerca non ha tardato ad analizzare il fenomeno e un nuovo studio, condotto da un’équipe di psicologi dell’Università del Kent e pubblicato sulla rivista Journal of Applied Social Psychology, ne ha confermato le prevedibili implicazioni negative: il phubbing andrebbe a peggiorare in maniera significativa la comunicazione e la relazione tra persone.
I partecipanti allo studio, 153 studenti universitari, hanno assistito a una scena di 3 minuti che coinvolgeva l’interazione tra due persone, con la richiesta di identificarsi con uno dei due protagonisti. Ogni partecipante veniva assegnato a una fra 3 condizioni sperimentali: nessun phubbing, phubbing leggero o phubbing massiccio.
I risultati? Più il livello di phubbing aumentava, più i soggetti percepivano che la qualità della relazione era peggiore e la relazione insoddisfacente.
Gli autori dello studio hanno caratterizzato il phubbing come una vera e propria «forma di esclusione sociale», capace, quando lo si subisce, di «minacciare alcuni bisogni umani fondamentali, come l’appartenenza, l’autostima, il senso di realizzazione e il controllo».
La loro speranza? Che, conoscendo quanto disagio possa suscitare questo comportamento, le persone si impegnino il più possibile per “stare” nelle relazioni che stanno vivendo, e, se proprio devono rispondere a una chiamata o a un messaggio, dedichino a tali interruzioni il più breve tempo possibile.
1. DENOMINAZIONE E DESCRIZIONE SINTETICA DELL’AREA DI PRATICA PROFESSIONALE
La Psicologia clinica costituisce uno dei diffusi ambiti di ricerca e intervento professionale della psicologia il cui dominio di applicazione concerne i problemi di adattamento, i disturbi di comportamento, gli stati e condizioni di malessere e sofferenza allo scopo di valutarli e prendersene cura con mezzi psicologici per facilitare e sostenere il benessere e lo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale delle persone.
In linea con la definizione normativa di psicologo (L.56/1989), la Psicologia clinica si contraddistingue per le teorie, i metodi e gli strumenti di intervento finalizzati alle attività di prevenzione, valutazione, abilitazione-riabilitazione e sostegno psicologico.
Particolare riguardo alla comprensione della domanda dell’utente individuale e collettivo (coppia, famiglia, gruppi, organizzazioni e comunità), alla psicodiagnostica e agli interventi di aiuto e sostegno, compresi quelli strettamente psicoterapeutici (che costituiscono un particolare sottoinsieme di modalità di intervento clinico specialistico mirato a forme psicopatologiche più strutturate).
Quali sono i nuclei tematici della ricerca clinica?
Fra i nuclei tematici di interesse operativo e di ricerca clinica possono esserne esemplificati alcuni come:
la prevenzione (primaria e secondaria) del disagio personale;
l’identificazione e diagnosi precoce dei rischi psicopatologici;
i fattori cognitivi, affettivo-emotivi, psicosociali, comportamentali, di personalità, sociali e culturali che sono all’origine dei disturbi o mantengono la condizione di disagio;
le emozioni e la loro regolazione in rapporto a salute e malattia, con specifico riguardo alle disregolazioni affettive;
le modalità di gestione clinica di differenti tipi di disturbi individuali, di coppia, familiari e di gruppo; le varie forme di counseling psicologico individuale, di coppia, familiare e di gruppo;
il miglioramento dell’efficacia delle tecniche psicodiagnostiche;
le modalità di gestione di situazioni di crisi emotiva, relazionale o decisionale insorgenti in vari fasi e contesti di vita;
la promozione del benessere psicosociale individuale e nei contesti sociali (asili nido, scuole, famiglia e lavoro);
la progettazione di efficaci forme di riabilitazione psicologica e psicosociale;
la valutazione dell’efficacia degli interventi di aiuto e dei di programmi di prevenzione e promozione della salute in differenti contesti sociali, ecc..
Quali sono gli obiettivi di intervento della psicologia clinica?
La Psicologia Clinica, per quanto concerne il processo conoscitivo (e diagnostico) su cui fonda i suoi obiettivi di intervento, evidenzia:
la centralità di una relazione autentica tra psicologo e utente/paziente;
la qualità del setting co-costruito e funzionale alla comprensione e valutazione clinica (anche mediante gli specifici strumenti come il colloquio, inventari e test);
la progettazione dell’intervento clinico di cura, intesa non necessariamente come psicoterapia, ma, più in generale, come aiuto alla maturazione di una capacità di comprensione della propria realtà psichica e di uno stile comportamentale e relazionale adattivo e funzionale per la persona.
La psicologia clinica moderna
La Psicologia clinica moderna si fonda sulle evidenze della ricerca scientifica e sull’esperienza clinica e assume un approccio interdisciplinare avvalendosi anche dei contributi conoscitivi delle altre discipline psicologiche (in particolare, Psicologia cognitiva, Psicologia dinamica, Psicologia della Personalità e differenziale, Psicopatologia, Neuropsicologia clinica, Psicologia sociale e dei gruppi, Psicometria) e non psicologiche come l’epidemiologia, la fisiologia, la ricerca valutativa, la sociologia sanitaria, ecc.
Le collaborazioni professionali
Nell’attività lavorativa quotidiana psicologo clinico collabora con altre figure professionali che operano nel campo socio-sanitario come, ad esempio, medici di base, pediatri, psichiatri, neurologi, logopedisti e altri tecnici della riabilitazione, infermieri, dietologi, assistenti sociali, ma anche con genitori e familiari degli utenti e con altri professionisti operanti in altri ambiti di interesse come il giudice, l’avvocato, l’insegnante, il pedagogista, l’educatore professionale.
Le applicazioni della psicologia clinica nei vari contesti di vita
Le competenze e gli strumenti offerti dalla psicologia clinica trovano applicazione nei vari contesti di vita nei quali ci si occupa del benessere psicologico dell’individuo, del gruppo, delle organizzazioni e della comunità e danno origine a sottoinsiemi disciplinari che stanno emergendo come ambiti professionali, più o meno autonomi, per il lavoro dello psicologo.
Ci si riferisce, ad esempio:
alla Psicologia clinica dello sviluppo (focalizzazione su alcune fasi del ciclo di vita come l’infanzia, l’ adolescenza, la gravidanza, la genitorialità e approfondimento mirato su temi di rilevanza professionale come: la psicopatologia dello sviluppo, la psicodiagnostica, i disturbi della personalità, la psicoterapia, la neuropsicologia dello sviluppo, il ritardo mentale e i disturbi dell’apprendimento, i disturbi del linguaggio e della comunicazione, l’handicap, la riabilitazione e prevenzione del rischio psicosociale);
alla Psicologia gerontologica (focalizzazione sulla terza età e la presa in carico dell’anziano; sulle sue problematiche cognitive, affettive e comportamentali tipiche; su specifici processi di riabilitazione cognitiva e affettiva; sulle diverse forme di demenza; sul mantenimento e prevenzione di patologie psicogeriatriche, ecc.);
a quella della salute (prevenzione e benessere, salute, stili di vita);
delle dipendenze (tossicodipendenze, gioco d’azzardo, ecc.);
giuridico-forense (in particolare, nell’ambito peritale);
penitenziaria (interventi in situazioni di restrizione della libertà);
a quella delle emergenze (interventi in situazioni di crisi ed eventi traumatici).
2. TIPOLOGIE DI FUNZIONI E ATTIVITÀ PROFESSIONALI CARATTERISTICHE
Diagnosi delle caratteristiche di personalità e assessment delle caratteristiche personali, delle risorse psicosociali, dei bisogni e delle aspettative nelle diverse fasi d’età, mediante strumenti quantitativi (inventari, test) e qualitativi (osservazione diretta in situazione, colloqui clinici, intervista narrativa, focus group, ecc.).
Scelta o costruzione, adattamento e standardizzazione, somministrazione e interpretazione di strumenti di indagine psicologica funzionali alla sintesi psicodiagnostica (test, inventari e questionari su abilità cognitive, interessi, motivazioni, personalità, atteggiamenti, interazioni di gruppo e sociali, sindromi patologiche, idoneità psicologica a specifici compiti e condizioni, ecc.) .
Assessment del grado di adattamento di un individuo al gruppo o alle comunità di cui fa parte, analisi delle eventuali dinamiche conflittuali interpersonali (di coppia, genitoriali, ecc.) e consulenza per la negoziazione e mediazione di tali conflitti.
Ass. delle caratteristiche genitoriali per l’idoneità all’adozione e affidamento.
Ass. del grado di imputabilità/responsabilità individuale (interdizioni, inabilitazioni, incapacità testamentaria, ecc.).
Assessment delle situazione di maltrattamento e abuso dei minori e proposte di intervento.
Valutazione dell’entità dell’handicap e delle capacità residue dal punto di vista neuropsicologico, psicologico e psicosociale.
Realizzazione di piani di trattamento calibrati sulla domanda dell’utente (frequenza, intensità durata), monitoraggio della loro attuazione ed eventuale correzione o integrazione.
Interventi di psicoterapia, di riabilitazione comportamentale, di rieducazione funzionale e integrazione sociale volti a ripristinare il benessere bio-psico-sociale dell’individuo nelle diverse fasi del suo ciclo di vita (bambini, adolescenti, adulti, anziani), anche nel contesto della famiglia, dei gruppi sociali e delle comunità.
Progettazione e realizzazione di interventi diretti a sostenere la relazione genitore-figlio, a ridurre il carico familiare, a sviluppare reti di sostegno e di aiuto con particolare riguardo alle differenti situazioni di disabilità e disagio.
Counselling individuale e di gruppo relativo a problemi emozionali, di progettazione di obiettivi e piani di azione, di decisione su alternative scolastico-professionali, di gestione di difficoltà relazionali con i familiari, di comportamenti a rischio e di uso di sostanze psicoattive, ecc.
Interventi di sostegno e counselling per minori che hanno vissuto esperienze traumatiche per facilitare una rapida ripresa delle routines e abitudini quotidiane (scuola, gioco e tempo libero, ecc.).
Counselling individuale e di gruppo per facilitare la gestione efficace di situazioni stressanti, per prevenire effetti avversi a lungo termine e per un migliore adattamento e qualità di vita.
Counselling individuale e di gruppo per la correzione di condotte insalubri e per accrescere la compliance ai trattamenti terapeutici, soprattutto in presenza di malattie croniche.
Couns. e sostegno psicologico ai pazienti ospedalizzati, ai loro famigliari ed agli operatori di tali strutture, con specifico riguardo ai percorsi diagnostico-terapeutici per pazienti in particolari condizioni critiche acute e croniche.
Attività di empowerment degli utenti portatori di peculiari situazioni di fragilità, vulnerabilità o cronicità e per una migliore autogestione post-ricovero ospedaliero.
Valutazione dell’efficacia e dell’appropriatezza dei metodi adottati negli interventi psicoterapeutici e di riabilitazione.
Progettazione, realizzazione e valutazione di interventi individuali e di gruppo per la riabilitazione psicosociale e di abilità cognitive e motorie (in bambini, adolescenti, adulti, anziani) e per l’inserimento della persona disabile nell’ambiente sociale e lavorativo.
Progettazione, realizzazione e valutazione di interventi sulla tossicodipendenza, alcoldipendenza ed altre forme di dipendenza (gioco d’azzardo, sesso, lavoro, ecc.), nonché interventi di potenziamento della rete sociale di sostegno (partner, genitori, figli, ecc.).
Prog., realizzazione e valutazione di strumenti, interventi e programmi per la prevenzione e promozione della salute, per la modifica dei comportamenti a rischio, con specifico riguardo ai contesti educativi, familiari, di comunità residenziali, associativi e lavorativi.
Pianificazione, conduzione o supervisione di ricerche cliniche nei vari ambiti di intervento e per differenti tipi di pazienti (bambini, adolescenti, adulti, anziani) e di programmi di ricerca-azione nell’ambito della comunità.
Consulenza nella progettazione di strutture per disabili e per l’accessibilità ai disabili di tutte le strutture di uso comune.
Supervisione individuale e di gruppo rivolti ai vari operatori della salute per potenziare le competenze comunicative e il funzionamento delle équipe anche nella prospettiva di prevenire il burn-out.
Attività di sperimentazione e didattica nell’ambito delle specifiche competenze caratterizzanti il settore e ai sensi della L.56/1989.
Formazione degli operatori socio-sanitari su emergenze nell’area medico-chirurgica ad elevata complessità, appropriatezza nella personalizzazione delle cure, comunicazione interpersonale e istituzionale, integrazione e lavoro in team, gestione dei conflitti interprofessionali.
3. PRINCIPALI CONTESTI LAVORATIVI E SETTORI DI INTERVENTO
Lo psicologo clinico è un laureato magistrale, abilitato dall’Esame di stato all’esercizio della professione, iscritto all’Albo degli psicologi nella sezione A capace di operare in completa autonomia professionale. Mentre gli orientamenti teorici e parte delle pratiche operative della psicologia clinica possono accomunare tutti laureati in psicologia, i trattamenti psicoterapeutici sono riservati a quei laureati che sono in possesso del diploma di specializzazione in una delle Scuole di Specializzazione di ambito psicologico:
Psicologia clinica, Neuropsicologia, Psicologia del ciclo di vita, Psicologia della salute, Valutazione psicologica e consulenza (counselling).Si inserisce mercato occupazionale dei servizi sanitari, educativi e sociali, pubblici e privati:
1. come dipendenti del SSN nei servizi di psicologia delle ASL (variamente denominati e dislocati anche in differenti Dipartimenti, Reparti ospedalieri, Consultori, Servizitossicodipendenze, Centri di riabilitazione);
2. come dipendente dei servizi educativi e sociali (servizi per l’infanzia, l’adolescenza e lafamiglia) di enti locali territoriali;
3. come socio di cooperative che offrono servizi clinici, sociali, educativi, riabilitativi e diassistenza sanitaria e sociale;
4. come libero professionista (singolo o associato in società di consulenzapluridisciplinare) per l’erogazione di servizi clinici, riabilitativi e di educazione sanitaria nell’ambito degli asili e scuole per l’infanzia, scuole primarie e secondarie, dei Consultori familiari, delle istituzioni assistenziali e di riabilitazione, delle organizzazioni di lavoro e delle comunità (ad esempio, comunità terapeutiche, comunità di recupero tossicodipendenti, residenze per anziani, ma anche servizi di quartiere, farmacie, palestre, associazioni sportive, ecc.);
5. come ricercatore in centri studi e ricerche pubblici e privati e presso l’università.
4. PERCORSI FORMATIVI DI BASE PER ACCEDERE ALL’AREA PROFESSIONALE
Laurea Magistrale LM/51 Psicologia (o lauree equivalenti dell’ordinamento previgente).
5. INDICAZIONI PER L’ACCESSO ALL’AREA PROFESSIONALE
L’inserimento nella professione in quanto Psicologo clinico richiede il completamento della formazione di base (Laurea Magistrale) con il tirocinio professionale svolto nell’ambito dei servizi pubblici (ad esempio, ASL) e privati operando nelle aree professionali tipiche della psicologia clinica.
Data la specificità dei compiti professionali di chi opera negli ambiti clinici e della prevenzione e promozione della salute, la partecipazione a Corsi di Alta formazione o Master Universitari nello stesso ambito risulta particolarmente indicata anche rispetto alla necessità padroneggiare le tecniche operative della psicologia clinica e di possedere conoscenze sui sistemi e le politiche socio-sanitarie.
Per l’assunzione nel Servizio Sanitario Nazionale (oltre che per lo svolgimento delle attività professionali di tipo psicoterapeutico in ambito privato o pubblico) si richiede obbligatoriamente il possesso del diploma di una delle della Scuole di Specializzazione che conferisce uno dei seguenti titoli di specialista in: Psicologia clinica, Neuropsicologia, Psicologia del ciclo di vita, Psicologia della salute, Valutazione psicologica e consulenza (counselling).
In particolare, solamente la scuola di specializzazione dedicata allo sviluppo di competenze in psicologia clinica conferisce il titolo di Specialista in Psicologia clinica.
tratto dal sito dell’Ordine degli Psicologi della Liguria