“Le ombre si sfiorano anche quando i corpi restano distanti. È nella giusta distanza che troviamo equilibrio: troppo vicine si sovrappongono e si fanno più scure, troppo lontane si dissolvono.”
Provare a trovare, costuire e tenere una “giusta distanza” dagli altri, dai nostri adulti significativi, dai nostri genitori, dal nostro passato, dai nostri compagni, dai nostri figli. Perché è nella giusta distanza che possiamo vedere con più chiarezza e comprendere senza giudicare.
Quando in terapia emergono storie di genitori critici, distanti o sprezzanti, spesso il dolore del cliente si scontra con la difficoltà di accettare che proprio quelle figure, che avrebbero dovuto offrire amore e sicurezza, abbiano invece ferito. È naturale ribellarsi all’idea che l’unico genitore avuto non abbia saputo fare meglio. Eppure, attraverso il percorso terapeutico, si arriva a comprendere che anche quei genitori vengono da storie difficili. Un padre ipercritico, forse, è stato cresciuto nell’assenza di affetto o con aspettative schiaccianti. Una madre distante, forse, ha imparato presto a proteggersi dal dolore isolandosi emotivamente. C’è una trasmissione generazionale di schemi relazionali che, inconsapevolmente, ricade in qualche modo nei figli.
Rompere la catena: comprendere senza giustificare
“Non possiamo cambiare ciò che è accaduto, ma possiamo cambiare come lo portiamo nella nostra mente.” – Stephen Finn
“Non tutti i ponti reggono il peso della nostra storia. Alcuni rimangono intatti, permettendoci di attraversare il passato senza ostacoli. Altri, invece, si spezzano, lasciandoci bloccati tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere.
Accettare la propria storia non significa minimizzarla o negare il dolore. Significa riconoscerla per ciò che è, senza lasciare che il passato continui a determinare il presente. Spesso si pensa che accettare voglia dire giustificare, ma in realtà vuol dire prendere atto di ciò che è stato, fare spazio alle emozioni, riconoscerle e sentirle, senza esserne sopraffatti e scegliere con consapevolezza come relazionarsi con il passato. La terapia non è un processo di giudizio, né un esercizio di perdono imposto. È un’opportunità per guardare la propria storia con nuovi occhi e trovare la giusta distanza: – una distanza che permetta di accettare il passato senza subirlo, – di sentire il dolore senza esserne schiacciati, – di riconoscere ciò che è stato senza lasciare che definisca il futuro.
Se sei in cerca di un percorso che possa aiutarti a farlo, ma non sai quale approccio scegliere, ti consiglio di leggere il mio articolo su [Come scegliere lo psicoterapeuta più adatto]
Verso una nuova relazione con sé stessi
“Credo che ogni persona, se supportata, possa trovare i giusti passi da fare per costruire una vita migliore.” – Stephen Finn
La nostra ombra porta i segni del passato, nitida e ineludibile. La strada davanti, invece, può confondersi e confonderci. Trovare la giusta distanza significa scegliere se seguire il peso di ciò che è stato o tracciare un nuovo percorso.
Spezzare i legami con il passato non significa necessariamente interrompere i rapporti con i genitori, ma ridefinire il modo in cui ci si relaziona a loro. Non sempre è possibile o sano ricostruire un rapporto stretto, ma nella maggior parte dei casi il percorso terapeutico porta a una nuova consapevolezza: quella di poter decidere con una maggiore chiarezza e comprensione maturata in terapia, se stare o no accanto ai propri genitori e con quale diverso equilibrio, ovvero costruirsi una nuova giusta distanza. Nella pratica, ciò può voler dire scegliere di non combattere più battaglie che non avranno mai un vincitore, smettere di cercare conferme da chi non ha mai saputo darle, o accettare i limiti di chi ci ha cresciuti senza che questi definiscano il nostro valore.
L’Assessment Collaborativo: nuove strade da esplorare
Trovare la giusta distanza è un percorso delicato, fatto di equilibri sottili tra vicinanza e protezione, tra comprensione e autonomia. A volte siamo come ombre che si sfiorano, capaci di sentirci vicini anche senza toccarci; altre volte, siamo su ponti spezzati, sospesi tra il desiderio di unire ciò che è diviso e la necessità di accettare che alcune distanze non possono essere colmate.
L’Assessment Collaborativo non offre risposte definitive, ma aiuta a tracciare nuove mappe interiori, a costruire nuovi ponti o, quando necessario, ad attraversare quelli già esistenti con maggiore consapevolezza. Non si tratta solo di elaborare il passato, ma di scegliere con quale passo e da quale distanza vogliamo camminare nel nostro futuro.
Per approfondire i principi dell’Assessment Terapeutico, puoi guardare questo video in cui il Dott. Stephen Finn ne parla in dettaglio: [YouTube link]
Il Paradosso della Nave di Teseo ci pone una domanda affascinante: se nel tempo sostituiamo ogni parte di una nave, pezzo dopo pezzo, possiamo ancora dire che sia la stessa nave?
E se tutte le cellule del nostro corpo cambiano nell’arco di pochi anni, siamo ancora la stessa persona di un tempo?
Cresciamo, cambiamo, viviamo esperienze che ci trasformano. Il nostro corpo rinnova ogni sua cellula nel corso degli anni. La nostra mente si evolve, i nostri pensieri non sono più quelli di un tempo. Eppure, ci sentiamo sempre noi stessi. Ma allora, cosa definisce davvero la nostra identità?
Ci piace pensare alla nostra identità come qualcosa di fisso, stabile, immutabile. Ma la verità è che cambiamo continuamente: esperienze, relazioni, successi e fallimenti modellano il nostro modo di essere. A volte il cambiamento è evidente, altre volte è più sottile, nascosto sotto il velo delle abitudini e delle convinzioni che abbiamo su di noi.
L’identità tra cambiamento e continuità
Secondo Eraclito, “nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume due volte, perché né l’uomo né il fiume saranno gli stessi.” L’identità sembra muoversi tra due poli: da un lato, il cambiamento continuo; dall’altro, la sensazione di essere sempre la stessa persona. La nostra identità è profondamente legata ai ricordi. Il passato, attraverso la memoria, costruisce un senso di continuità, una linea che collega il nostro primo ricordo fino al presente. Tuttavia, la percezione di sé non è statica: cambia nel tempo, si arricchisce, si rinnova. Chi eravamo dieci anni fa non è esattamente chi siamo oggi, eppure ci riconosciamo in entrambi.
Cosa accade quando il senso di continuità si spezza?
Questa percezione di unitarietà è fondamentale per la nostra vita psichica. Alcune forme di sofferenza mentale derivano proprio da una frattura nell’identità: momenti in cui non ci sentiamo più in connessione con chi siamo, in cui sembra di aver perso una parte di noi stessi. Quando questo accade, si crea una distanza tra il nostro passato e il presente, lasciandoci smarriti. Eppure, il cambiamento non è una minaccia, ma una possibilità di crescita. Il fuoco di Eraclito rappresenta perfettamente questa dinamica: cambia continuamente, ma nella sua continua trasformazione mantiene inalterata la sua essenza.
L’Assessment Collaborativo : una nuova prospettiva su di sé
L’Assessment Collaborativo aiuta proprio a esplorare questa tensione tra cambiamento e continuità, offrendo un nuovo modo di guardare alla propria storia. Spesso ci incaselliamo in definizioni rigide: “Io sono così, non cambierò mai.” Ma se la nave di Teseo può essere sostituita pezzo dopo pezzo e rimanere se stessa, perché non può essere lo stesso per noi? L’Assessment Collaborativo non impone un’identità, ma aiuta a comprendere come siamo arrivati a essere ciò che siamo oggi, a riconoscere il nostro percorso e a renderci consapevoli del fatto che possiamo scegliere in che direzione andare. Non si tratta di diventare qualcun altro, ma di acquisire un nuovo sguardo su noi stessi e sulla nostra evoluzione.
Chi siamo davvero?
Ogni sette anni, ogni cellula del nostro corpo viene sostituita, e persino gli atomi che ci compongono cambiano continuamente. Come facciamo ad affermare di essere sempre noi stessi se non abbiamo più nemmeno un atomo di quelli preso in prestito dai nostri genitori?
Se nulla di ciò che eravamo fisicamente esiste più, cosa ci rende ancora noi stessi?
La consapevolezza è la chiave della conoscenza, del cambiamento e, quindi, della nostra identità nel qui e ora. Non è la materia a definirci, ma il filo invisibile delle nostre esperienze, il modo in cui diamo senso ai nostri ricordi e intrecciamo le relazioni che ci accompagnano nel tempo.
Forse non siamo qualcosa di immutabile, ma un equilibrio dinamico tra ciò che cambia e ciò che resta. Un’identità in continua evoluzione, ma sempre profondamente nostra.
Se potessi scegliere, quale parte di te vorresti trasformare?
“Come devo comportarmi con mio figlio?” o “Noi come genitori stiamo facendo il bene di nostro figlio?
Queste o altre domande simili, sono quasi sempre le stesse che raccolgo nel primo o secondo incontro dell’Assessment collaborativo familiare, dove sono presenti entrambi i genitori, il figlio/a, sia che sia minorenne che maggiorenne, fratelli o sorelle, ed eventualmente altri adulti di riferimento.
Il percorso di psicoterapia familiare può consentire di riscrivere una storia familiare più accurata e di ristabilire le appropriate gerarchie strutturali nella famiglia di ciascun membro familiare da parte degli altri.
Tale percorso può permettere anche di de-triangolare, (il termine triangolazione identifica una specifica dinamica relazionale nella quale la comunicazione e le interazioni tra due individui non avvengono direttamente, ma sono mediate da una terza persona) ovvero di evitare quindi che il figlio viva al posto dei genitori le loro dinamiche disfunzionali.
Per approfondire il concetto di triangolazione e il ruolo della terapia familiare, puoi consultare questo interessante articolo delle teorie di Murray Bowen e Jay Haley.
L’assessment collaborativo familiare è rivolto alla gestione e risoluzione di momento di crisi, all’elaborazione cognitiva, emotiva e relazionale delle personali difficoltà e al miglioramento della propria qualità di vita.
Se senti che potrebbe esserti utile un supporto psicologico ma non sai quale professionista faccia al caso tuo, ti consiglio di leggere il mio articolo su Come scegliere lo psicoterapeuta più adatto?.
“Perchè sento di aver sbagliato con mio figlio?”
Alla fine del percorso avremo modo di rispondere assieme, in modo collaborativo, a tutte le vostre domande, questo grazie ai test che utilizzeremo proprio con la finalità di aumentare la nostra consapevolezza su tutte le dinamiche relazionali nonché comprendere il funzionamento personologico di tutti i membri familiari.
Massimo Recalcati, psicanalista e saggista italiano, in una delle tante conferenze, dopo l’analisi della figura del padre e della madre, completa un’ideale trilogia soffermandosi sulla figura del figlio, con il suo libro “Il segreto del figlio” ci dice che il compito primo, il più alto e il più difficile dei genitori è quello di avere fede nel segreto incomprensibile del figlio e nel suo splendore.
Recalcati continua dicendo, al Festivaletteratura di Mantova: “Ogni figlio è una poesia. In che senso un figlio è una poesia?
Una poesia esiste quando abbiamo un certo rapporto tra il linguaggio e la parola, non c’è poesia senza linguaggio, la condizione della poesia è l’esistenza del linguaggio, la condizione del figlio è l’esistenza dei genitori, non c’è poesia senza linguaggio cosi come non c’è figlio senza genitori.
La poesia è già tutta contenuta nel linguaggio? No, perché ci sia poesia, bisogna che ci sia un evento, c’è bisogno di un’invenzione, c’è bisogno di una creazione.
Il linguaggio offre lo strumento perchè la poesia generi una creazione nuova ed è esattamente il problema del figlio.
Il figlio è una poesia perché origina dal linguaggio, cioè dai suoi genitori, dalla vita dell’altro, ma il suo compito è diventare poesia, cioè diventare qualcosa che non era previsto dall’altro, qualcosa di nuovo, una vita differente, dalla vita dell’altro, in questo senso ogni figlio è uno sforzo di poesia.
Ogni figlio ha la sua provenienza nell’altro, ogni figlio proviene dai suoi genitori ma il compito di ogni figlio è farsi vita differente dalla vita dei suoi genitori.
Ogni genitore si trova, prima o poi, a porsi domande difficili sul proprio ruolo e sul benessere dei figli. L’Assessment Collaborativo Familiare offre uno spazio per comprendere meglio le dinamiche relazionali, sciogliere nodi comunicativi e ritrovare una nuova armonia. Non si tratta di cercare colpe, ma di costruire consapevolezza e nuove possibilità di relazione.
Se senti che è il momento di approfondire queste tematiche e vuoi capire se questo percorso può fare al caso tuo, contattami per un primo confronto. Insieme possiamo trovare il modo migliore per supportare la crescita e l’equilibrio della tua famiglia.
Non tutti gli psicoterapeuti lavorano allo stesso modo: ecco le 5 macrocategorie (+1) per scegliere meglio!
Cerchiamo di scoprirlo assieme
Scegliere il giusto psicoterapeuta è un passo fondamentale per intraprendere un percorso di crescita e cambiamento. L’Ordine degli Psicologi ha fornito alcune indicazioni utili su questo tema: Come scegliere uno psicoterapeuta. Esistono diversi approcci terapeutici, e capire quale sia il più adatto alle proprie esigenze può fare la differenza. Per aiutarti nella scelta, possiamo suddividere i principali orientamenti della psicoterapia in cinque (5) macrocategorie, più una (1) sesta che li integra.
(1) ti senti che il tuo comportamento è guidato da motivi inconsapevoli e vuoi di conseguenza fare chiarezza sulla tua storia evolutiva? Potrebbe interessarti uno pscioterapeuta che ha un approccio Psicodinamico, Psicanalitico, Analitico-Transazionale;
(2) ti senti che l’aspetto inconscio non sia rilevante ma pensi piuttosto che sia più interessante cambiare il tuo modo di pensare piuttosto che altro? Potrebbe interessarti uno psicoterapeuta che ha un approccio Cognitivista;
(3) ti senti di non voler esplorare il tuo passato ma vuoi semplicemente cambiare il tuo comportamento nell’immediato, nel “qui ed ora”? Potrebbe interessarti un approccio Comportamentista o Strategico;
(4) ti senti di voler lavorare a livello delle emozioni senza concettualizzare eccessivamente? Potrebbe interessarti un approccio Gestaltico;
(5) ti senti che intendi lavorare a livello familiare e non solo in modo individuale? Potrebbe interessarti uno psicoterapeuta cha ha un approccio Sistemico-Relazionale.
Ti riconosci in più approcci teorici tra quelli appena elencati?
Potrebbe interessarti uno psicoterapeuta che ha un approccio Integrato (ovvero un approccio che si fonda su più costrutti e modelli teorici di riferimento).
Il mio approcciocome psicoterapeuta
Personalmente, il mio metodo si basa su un approccio Integrato, che unisce elementi della psicoterapia Psicodinamica (1) e Sistemico-Relazionale (5), per offrire un percorso su misura, capace di tenere conto sia della storia individuale che delle dinamiche relazionali.
Se vuoi approfondire come la terapia può aiutarti a trovare un equilibrio nelle relazioni, ti consiglio di leggere il mio articolo su La giusta distanza in psicoterapia.
Vuoi approfondire o hai dubbi su quale sia l’approccio migliore per te? Prenota un primo colloquio per esplorare insieme il percorso più adatto alle tue esigenze. Contattami per maggiori informazioni!
Quando il cibo diventa linguaggio: il ruolo della famiglia nella guarigione.
Nella cura dei disturbi alimentari, sono coinvolte diverse figure professionali dell’area sanitaria, con un approccio multidimensionale, interdisciplinare e pluriprofessionale. Qual è, in questo quadro, il ruolo della psicoterapia? Lo spiega lo psicologo e psicoterapeuta spezzino Alessio Novarelli. “Il primo obiettivo si identifica sostanzialmente con la costruzione di una relazione di fiducia; queste persone sono in genere diffidenti o molto sfiduciate: occorre ingaggiarle nel trattamento verso il cambiamento ed “abbracciare” l’intero sistema familiare. Vivono, infatti, la propria condizione non come un disturbo o una malattia da curare, ma come una scelta di vita, tanto che il controllo dell’alimentazione e del peso corporeo viene descritto come ‘luna di miele’ con la malattia”.
“Perchè è utile affiancare la psicoterapia individuale ad una psicoterapia familiare nei disturbi alimentari? “
Novarelli pone l’accento sull’indagine e il trattamento, con la psicoterapia individuale, riguardo l’aspetto legato alle difficoltà interpersonali, alla mancanza di relazioni significative soddisfacenti “per cui l’atteggiamento anoressico o bulimico può rappresentare una difesa rispetto a ciò che non si vuol ‘sentire’”. “L’approccio relativo al modello sistemico relazionale individua le modalità di relazione tra i nuclei familiari e quelle particolari dinamiche che favoriscono il mantenimento di questo status.
“La psicoterapia familiare perchè è utile nei disturbi del comportamento alimentare?”
La psicoterapia familiare è quella ritenuta più utile, poiché aiuta il genitore a comprendere meglio gli aspetti patologici del disturbo dei propri figli e può essere valida per interrompere il circolo vizioso tra le criticità e la malattia”. Si mette, così, in evidenza il significato relazionale del sintomo, introducendo una visione circolare e relazionale dei comportamenti di tutti i membri della famiglia, che potranno modificare le regole disfunzionali del nucleo, sostituendole con altre più funzionali. “Il compito del terapeuta è cogliere rapidamente quali sono le regole che generano e perpetuano la disfunzione ed escogitare un intervento che rompa la regola sul piano di azione.
“Qual è la finalità della terapia familiare nei disturbi alimentari”
La finalità della terapia familiare è di individuare il significato che il cibo assume nella famiglia: questo aiuterebbe i suoi componenti a sperimentare altre dinamiche più adeguate e flessibili, altri linguaggi, riportando il cibo nella sua collocazione più giusta”. Quali gli effetti benefici della psicoterapia familiare? “I genitori aumentano le loro conoscenze sullo sviluppo dell’adolescente e su come modificare le loro modalità genitoriali in risposta ai bisogni evolutivi del figlio; vengono interrotti i meccanismi reciproci di identificazione-proiettiva, dando ai membri della famiglia la possibilità di riappropriarsi delle parti di sé proiettate”.
Scopri di più leggendo l’articolo pubblicato nel quotidiano La Nazione
Se pensi che la terapia familiare possa aiutare te o un tuo caro, contattami per una consulenza. Insieme possiamo trovare il percorso più adatto per affrontare il problema.
Pensi possibile che una persona sia per noi cosi importante da motivarci a compiere una pazzia come salire su un elicottero con un pilota ubriaco?
Hai mai sentito parlare del concetto di base sicura in psicologia? Si tratta di quella sensazione di sicurezza emotiva che ci permette di affrontare le sfide della vita con maggiore fiducia. Spesso, una persona significativa per noi può diventare la nostra base sicura, motivandoci e spingendoci oltre i nostri limiti.
Walter Mitty e il coraggio che nasce da una base sicura
Walter: “Forse ti sembrerà strano ma stavo pensando a te. Quando ero in Groenlandia, là sai fanno il karaoke e… io… dovevo salire su un elicottero e il pilota era ubriaco da morire… ho cominciato a pensare a te che che cantavi Major Tom … è stato quello che mi ha fatto salire sull’elicottero e mi ha fatto arrivare dove volevo arrivare”
Nel film I sogni segreti di Walter Mitty, il protagonista trova coraggio nel pensiero di qualcuno di speciale, riuscendo così a superare le proprie paure. Ma come funziona questo meccanismo nella realtà? Scopriamolo insieme. Walter è il protagonista del film “I sogni segreti di Walter Mitty” …ma non vorrei parlarne troppo, penso che vi meritiate di vederlo e di interpretarlo a modo vostro. Mi permetto però di dirvi che a Walter capita di perdere il senso del tempo e di apparire “incantato” e che questo suo tratto non fa altro cha alimentare la derisione dei colleghi, fatto per cui gli viene attribuito l’appellativo di Major Tom, in riferimento al brano Space Oddity di David Bowie.
Il significato di Space Oddity: la storia del Maggiore Tom
Space Oddity racconta le vicende del Maggiore Tom, un astronauta che, staccatosi dalla Terra e uscito dalla sua capsula per affrontare una passeggiata in orbita, a un certo punto interrompe i contatti con la Torre di controllo e si perde nello spazio. Osservando la terra da lontano, Tom viene travolto da un’intensa malinconia e si ribella alla sua missione e mentre dalla Torre non capiscono cosa stia succedendo, sceglie di rimanere lassù, isolato da tutto e tutti, con lo sguardo fisso verso il nostro pianeta “blue” (tradotto dall’inglese significa blu come il colore ma vuol dire anche triste).
Cheryl: il sostegno che aiuta Walter Mitty a crescere
Non tutti i colleghi di Walter lo deridono, anzi e tra gli altri c’è Cheryl di cui è segretamente innamorato. Cheryl: “Volevo dirti una cosa su quella canzone del Maggiore Tom. Quella di cui parlava il tizio con la barba. Lui non sa di cosa parla. Quella canzone parla di coraggio e di affrontare l’ignoto. È una canzone mitica”Cheryl è amichevole, gentile e sostiene Walter rappresentando lentamente un legame sia con la realtà che con il mondo professionale contribuendo al percorso di crescita e di auto-esplorazione.
Il potere della base sicura: sentirsi al sicuro anche da soli
Alcune persone possano influenzare positivamente il nostro benessere emotivo, permetterci di esplorare la realtà e individuare e conseguire i nostri obiettivi personali. Questi benefici sono conseguenti ad una base sicura interiorizzata che è come una specie di sensazione di sicurezza che portiamo con noi dentro di noi. È un po’ come avere una piccola coperta emotiva immaginaria. Questa “coperta” ci fa sentire al sicuro anche quando le persone importanti non sono fisicamente vicine. In poche parole, una base interiorizzata è come una fonte di conforto che portiamo dentro di noi, che ci aiuta a sentirsi al sicuro ed equilibrati anche quando siamo da soli…. magari in Groenlandia e magari compiere una pazzia che ci “libera” e ci fa “volare” (enfatizzando e romanzando)
Scopri di più sul mio approccio terapeutico e su come posso aiutarti a sviluppare nuove risorse interiori.
Hai mai vissuto un momento in cui il pensiero di una persona cara ti ha dato la forza di affrontare una sfida? Ti è mai capitato di trovare coraggio grazie a qualcuno di speciale? Rifletti su come questa base sicura abbia influenzato le tue scelte.
Se questo tema ti interessa, seguimi per altri approfondimenti!
Imparare a lasciare andare comporta l’accettazione del fatto che alcune cose “sono come sono” e che giudicarle o tentare di cambiarle (quando non se ne ha il potere o semplicemente il diritto), comporterebbe un inutile spreco di energie.
L’accettazione ha a che fare con la capacità di osservare la realtà dalla giusta prospettiva, affinché la si possa affrontare in maniera attiva. L’ accettazione offre quindi l’opportunità di guardare il mondo con occhi diversi e di assumere un ruolo attivo nella propria vita, passando dal ruolo di “spettatori” (o “vittime”) a quello di “protagonisti”.
Accettando, abbandoniamo la pretesa di cambiare “l’immodificabile”, per trovare altre strade, concentrandoci sui noi stessi, sui nostri progetti (assertività) e su ciò che può migliorare la qualità della nostra vita.
La rassegnazione, al contrario, implica la continua speranza che, prima o poi, quella situazione o quella persona a cui siamo legati, possa cambiare; non solo, la passività che essa comporta, ci rende vittime delle circostanze, portandoci a credere di non essere padroni del nostro destino.
“Lasciare andare non è dominio e controllo, ma un atto di fede perché la vita si sveli…”
Lasciare andare implica anche rinunciare al desiderio di esercitare il controllo su una situazione o sulle proprie reazioni emotive.
Panico e ansia sono i disturbi tipici di chi teme di perdere il controllo di sé stessi, si innesca un fenomeno di ” paura della paura” che porta a moltiplicare le strategie della protezione.
Il controllo e il lasciarsi andare, però, possono anche fondersi, bisogna trovare un equilibrio tra due opposte pulsioni che non son incompatibili, ma, al contrario, complementari. In realtà tutta l’attività di apprendimento é inizialmente costruita su una sequenza di controllo che poi diventa automatica e permette di lasciarsi andare, basti pensare ai primi momenti trascorsi al volante.
“Per ricevere, è necessario prima aprire la mano. Lasciare andare“
Studio di Psicologia – Dott. Alessio Novarelli – Psicologo, La Spezia
Quello che non è stato trattato aspetta di essere trattato
In questi ultimi anni mi sono molto soffermato a riflettere sul significato di ciò che riesco a vedere e si vede e ciò che non vedo e non riesco a vedere.
Il quadro di Paul Klee intitolato “L’occhio”, ne riassume visivamente il concetto, nel quale è rappresentato un volto non completo, con un solo occhio, un solo lato della bocca e la linea del naso che sembrerebbe dividere in due il soggetto.
Il continuo percorso formativo in ambito psicoterapeutico, ci insegna proprio, dalle parole di Vittorio Cigoli che “Quello che non è stato trattato aspetta solo di essere trattato” e come entrambi tali riferimenti possano integrarsi tra loro nell’ottica del pensiero che:
ciò che si vede e si tratta è in stretta connessione con ciò che non si vede ma che aspetta di essere trattato.
Riuscire a rendere visibile ciò che non è visibile dovrebbe essere sempre più un nostro compito professionale psicoterapeutico.
Psicologo o psichiatra? Questa è una delle domande più frequenti per chi sta attraversando un momento di difficoltà. In questo articolo ti aiuto a capire le differenze tra queste due figure professionali, per scegliere con maggiore consapevolezza a chi affidarti.
Spesso ci chiediamo se sia meglio rivolgersi a uno psicologo o psichiatra, ma dipende dal tipo di disagio.
A chi possiamo rivolgerci quando sentiamo il bisogno di un aiuto psicologico? Questa è una domanda comune, ma la risposta dipende da molti fattori: dal tipo di difficoltà che stiamo vivendo, dalla nostra motivazione e dal tipo di percorso che desideriamo intraprendere.
A volte bastano pochi colloqui, altre volte può essere necessario un percorso di psicoterapia o un supporto farmacologico. In ogni caso, il primo passo può essere una consulenza psicologica, per orientarsi meglio e capire a chi affidarsi.
Vediamo insieme le principali figure professionali dell’ambito psicologico e psichiatrico per comprendere a chi rivolgersi e in quale situazione.
👤 Chi è lo psicologo e quando rivolgersi a lui
Lo psicologo è un professionista laureato in psicologia, abilitato dopo tirocinio ed esame di Stato, e iscritto all’Albo (sezione A). Si occupa di prevenzione, diagnosi, sostegno e riabilitazione psicologica. Può aiutare a comprendere il disagio e a promuovere risorse personali, ma non prescrive farmaci.
🧩 Chi è lo Psicoterapeuta?
È uno psicologo o medico che ha completato una specializzazione quadriennale riconosciuta dal MIUR. Oltre alle competenze dello psicologo, può effettuare interventi di cura psicoterapeutica. Lo psicoterapeuta non medico non prescrive farmaci, ma può collaborare con medici e psichiatri.
È un terapeuta con formazione specifica in psicoanalisi, solitamente uno psicologo o un medico che ha seguito un percorso formativo psicanalitico. La sua pratica si basa sulla teoria freudiana e sulle sue evoluzioni. Elemento distintivo: ha seguito a sua volta un lungo percorso personale di analisi.
💊 Chi è lo Psichiatra?
È un medico specializzato in psichiatria, quindi può prescrivere farmaci e diagnosticare disturbi mentali da un punto di vista medico-biologico. Spesso lavora in sinergia con psicoterapeuti o psicologi, integrando approcci farmacologici e psicologici.
✅ A chi rivolgersi?
Se hai dubbi, iniziare con uno psicologo può essere la scelta migliore per chiarire la tua domanda d’aiuto. Una consulenza iniziale può orientarti verso il percorso più adatto, che sia con uno psicoterapeuta, uno psichiatra o un altro professionista.
📩 Vuoi capire qual è il professionista giusto per te? Contattami per una consulenza: un primo passo può fare la differenza.
Lo psicologo psicoterapeuta è un professionista che, dopo l’abilitazione alla professione di psicologo, si specializza in psicoterapia attraverso una formazione post-universitaria di almeno 4 anni.
L’iscrizione all’elenco degli psicoterapeuti del proprio ordine regionale ne autorizza l’esercizio alla professione.La Legge 56/89 regola l’esercizio dell’attività psicoterapeutica, con l’art. 3:
“L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia, attivati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all’articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica.
Agli psicoterapeuti non medici è vietato ogni intervento di competenza esclusiva della professione medica”.
Lo psicologo psicoterapeuta opera per offrire ai pazienti (o clienti) un percorso di diagnosi e cura volto al superamento delle difficoltà psicologiche, siano esse più o meno gravi ed invalidanti.
Il titolo di psicoterapeuta può essere conseguito anche dai laureati in medicina (previa specializzazione presso una scuola di psicoterapia) o dai medici psichiatri.
Tratto dal sito dell’Ordine degli Psicologi della Liguria