Differenti e numerosi sono gli approcci teorici ma cerchiamo di semplificare e costruire 5 macrocategorie più 1:
(1) ti senti che il tuo comportamento è guidato da motivi inconsapevoli e vuoi di conseguenza fare chiarezza sulla tua storia evolutiva? Potrebbe interessarti un approccio Psicodinamico, Psicanalitico, Analitico-Transazionale;
(2) ti senti che l’aspetto inconscio non sia rilevante ma pensi piuttosto che sia più interessante cambiare il tuo modo di pensare piuttosto che altro? Potrebbe interessarti un approccio Cognitivista;
(3) ti senti di non voler esplorare il tuo passato ma vuoi semplicemente cambiare il tuo comportamento nell’immediato, nel “qui ed ora”? Potrebbe interessarti un approccio Comportamentista o Strategico;
(4) ti senti di voler lavorare a livello delle emozioni senza concettualizzare eccessivamente? Potrebbe interessarti un approccio Gestaltico;
(5) ti senti che intendi lavorare a livello familiare e non solo in modo individuale? Potrebbe interessarti un approccio Sistemico-Relazionale.
Ti riconosci in più approcci teorici tra quelli appena elencati?
Potrebbe interessarti un approccio Integrato (ovvero un approccio che si fonda su più costrutti e modelli teorici di riferimento).
Il mio approccio, ad esempio è un approccio Integrato, che si fonda sui principi della macrocategoria dei punti (1) e (5), ovvero Psicodinamico e Sistemico-Relazionale.
Nella cura dei disturbi dell’alimentazione, sono coinvolte diverse figure professionali dell’area sanitaria, con un approccio multidimensionale, interdisciplinare e pluriprofessionale. Qual è, in questo quadro, il ruolo della psicoterapia? Lo spiega lo psicologo e psicoterapeuta spezzino Alessio Novarelli. “Il primo obiettivo si identifica sostanzialmente con la costruzione di una relazione di fiducia; queste persone sono in genere diffidenti o molto sfiduciate: occorre ingaggiarle nel trattamento verso il cambiamento ed “abbracciare” l’intero sistema familiare. Vivono, infatti, la propria condizione non come un disturbo o una malattia da curare, ma come una scelta di vita, tanto che il controllo dell’alimentazione e del peso corporeo viene descritto come ‘luna di miele’ con la malattia”.
“Perchè è utile affiancare la psicoterapia individuale ad una psicoterapia familiare nei disturbi alimentari? “
Novarelli pone l’accento sull’indagine e il trattamento, con la psicoterapia individuale, riguardo l’aspetto legato alle difficoltà interpersonali, alla mancanza di relazioni significative soddisfacenti “per cui l’atteggiamento anoressico o bulimico può rappresentare una difesa rispetto a ciò che non si vuol ‘sentire’”. “L’approccio relativo al modello sistemico relazionale individua le modalità di relazione tra i nuclei familiari e quelle particolari dinamiche che favoriscono il mantenimento di questo status.
“La psicoterapia familiare perchè è utile nei disturbi del comportamento alimentare?”
La psicoterapia familiare è quella ritenuta più utile, poiché aiuta il genitore a comprendere meglio gli aspetti patologici del disturbo dei propri figli e può essere valida per interrompere il circolo vizioso tra le criticità e la malattia”. Si mette, così, in evidenza il significato relazionale del sintomo, introducendo una visione circolare e relazionale dei comportamenti di tutti i membri della famiglia, che potranno modificare le regole disfunzionali del nucleo, sostituendole con altre più funzionali. “Il compito del terapeuta è cogliere rapidamente quali sono le regole che generano e perpetuano la disfunzione ed escogitare un intervento che rompa la regola sul piano di azione.
“Qual è la finalità della terapia familiare nei disturbi alimentari”
La finalità della terapia familiare è di individuare il significato che il cibo assume nella famiglia: questo aiuterebbe i suoi componenti a sperimentare altre dinamiche più adeguate e flessibili, altri linguaggi, riportando il cibo nella sua collocazione più giusta”. Quali gli effetti benefici della psicoterapia familiare? “I genitori aumentano le loro conoscenze sullo sviluppo dell’adolescente e su come modificare le loro modalità genitoriali in risposta ai bisogni evolutivi del figlio; vengono interrotti i meccanismi reciproci di identificazione-proiettiva, dando ai membri della famiglia la possibilità di riappropriarsi delle parti di sé proiettate”.
Per leggere l’articolo nel quotidiano clicca qui sotto.
Pensi possibile che una persona sia per noi cosi importante da motivarci a compiere una pazzia come salire su un elicottero con un pilota ubriaco?
Walter: “Forse ti sembrerà strano ma stavo pensando a te. Quando ero in Groenlandia, là sai fanno il karaoke e… io… dovevo salire su un elicottero e il pilota era ubriaco da morire… ho cominciato a pensare a te che che cantavi Major Tom … è stato quello che mi ha fatto salire sull’elicottero e mi ha fatto arrivare dove volevo arrivare”
Walter è il protagonista del film “I sogni segreti di Walter Mitty” …ma non vorrei parlarne troppo, penso che vi meritiate di vederlo e di interpretarlo a modo vostro.
Mi permetto però di dirvi che a Walter capita di perdere il senso del tempo e di apparire “incantato” e che questo suo tratto non fa altro cha alimentare la derisione dei colleghi, fatto per cui gli viene attribuito l’appellativo di Major Tom, in riferimento al brano Space Oddity di David Bowie.
Vediamo un attimo di vedere di cosa parla la canzone
Space Oddity racconta le vicende del Maggiore Tom, un astronauta che, staccatosi dalla Terra e uscito dalla sua capsula per affrontare una passeggiata in orbita, a un certo punto interrompe i contatti con la Torre di controllo e si perde nello spazio.
Osservando la terra da lontano, Tom viene travolto da un’intensa malinconia e si ribella alla sua missione e mentre dalla Torre non capiscono cosa stia succedendo, sceglie di rimanere lassù, isolato da tutto e tutti, con lo sguardo fisso verso il nostro pianeta “blue” (tradotto dall’inglese significa blu come il colore ma vuol dire anche triste).
Ritorniamo a Walter…
Non tutti i colleghi di Walter lo deridono, anzi e tra gli altri c’è Cheryl di cui è segretamente innamorato.
Cheryl: “Volevo dirti una cosa su quella canzone del Maggiore Tom. Quella di cui parlava il tizio con la barba. Lui non sa di cosa parla. Quella canzone parla di coraggio e di affrontare l’ignoto. È una canzone mitica”
Cheryl è amichevole, gentile e sostiene Walter rappresentando lentamente un legame sia con la realtà che con il mondo professionale contribuendo al percorso di crescita e di auto-esplorazione.
Cerchiamo ora di esplorare queste informazioni del film attraverso la lente di una teoria psicologica
Alcune persone possano influenzare positivamente il nostro benessere emotivo, permetterci di esplorare la realtà e individuare e conseguire i nostri obiettivi personali.
Questi benefici sono conseguenti ad una base sicura interiorizzata che è come una specie di sensazione di sicurezza che portiamo con noi dentro di noi.
È un po’ come avere una piccola coperta emotiva immaginaria. Questa “coperta” ci fa sentire al sicuro anche quando le persone importanti non sono fisicamente vicine.
In poche parole, una base interiorizzata è come una fonte di conforto che portiamo dentro di noi, che ci aiuta a sentirsi al sicuro ed equilibrati anche quando siamo da soli…. magari in Groenlandia e magari compiere una pazzia che ci “libera” e ci fa “volare” (enfatizzando e romanzando)
E a voi è mai capitato di pensare ad una persona che vi vuole bene e che crede in voi per affrontare un momento difficile?
Imparare a lasciare andare comporta l’accettazione del fatto che alcune cose “sono come sono” e che giudicarle o tentare di cambiarle (quando non se ne ha il potere o semplicemente il diritto), comporterebbe un inutile spreco di energie.
L’accettazione ha a che fare con la capacità di osservare la realtà dalla giusta prospettiva, affinché la si possa affrontare in maniera attiva. L’ accettazione offre quindi l’opportunità di guardare il mondo con occhi diversi e di assumere un ruolo attivo nella propria vita, passando dal ruolo di “spettatori” (o “vittime”) a quello di “protagonisti”.
Accettando, abbandoniamo la pretesa di cambiare “l’immodificabile”, per trovare altre strade, concentrandoci sui noi stessi, sui nostri progetti (assertività) e su ciò che può migliorare la qualità della nostra vita.
La rassegnazione, al contrario, implica la continua speranza che, prima o poi, quella situazione o quella persona a cui siamo legati, possa cambiare; non solo, la passività che essa comporta, ci rende vittime delle circostanze, portandoci a credere di non essere padroni del nostro destino.
“Lasciare andare non è dominio e controllo, ma un atto di fede perché la vita si sveli…”
Lasciare andare implica anche rinunciare al desiderio di esercitare il controllo su una situazione o sulle proprie reazioni emotive.
Panico e ansia sono i disturbi tipici di chi teme di perdere il controllo di sé stessi, si innesca un fenomeno di ” paura della paura” che porta a moltiplicare le strategie della protezione.
Il controllo e il lasciarsi andare, però, possono anche fondersi, bisogna trovare un equilibrio tra due opposte pulsioni che non son incompatibili, ma, al contrario, complementari. In realtà tutta l’attività di apprendimento é inizialmente costruita su una sequenza di controllo che poi diventa automatica e permette di lasciarsi andare, basti pensare ai primi momenti trascorsi al volante.
“Per ricevere, è necessario prima aprire la mano. Lasciare andare“
Studio di Psicologia – Dott. Alessio Novarelli – Psicologo, La Spezia
Quello che non è stato trattato aspetta di essere trattato
In questi ultimi anni mi sono molto soffermato a riflettere sul significato di ciò che riesco a vedere e si vede e ciò che non vedo e non riesco a vedere.
Il quadro di Paul Klee intitolato “L’occhio”, ne riassume visivamente il concetto, nel quale è rappresentato un volto non completo, con un solo occhio, un solo lato della bocca e la linea del naso che sembrerebbe dividere in due il soggetto.
Il continuo percorso formativo in ambito psicoterapeutico, ci insegna proprio, dalle parole di Vittorio Cigoli che “Quello che non è stato trattato aspetta solo di essere trattato” e come entrambi tali riferimenti possano integrarsi tra loro nell’ottica del pensiero che:
ciò che si vede e si tratta è in stretta connessione con ciò che non si vede ma che aspetta di essere trattato.
Riuscire a rendere visibile ciò che non è visibile dovrebbe essere sempre più un nostro compito professionale psicoterapeutico.
Quanti di noi durante il nostro percorso di vita abbiamo incontrato momenti e periodi di difficoltà?
A chi dobbiamo rivolgerci se abbiamo bisogno d’aiuto?
Dipende. Dipende dal nostro bisogno, dalle nostre necessità, dalla motivazione ad intraprendere un percorso personale o meno.
A volte sentiamo una spinta a chiedere aiuto e spesso la lasciamo inascoltata, dobbiamo invece cercare di accoglierla e seguirla: una consulenza è il primo passo per decidere insieme allo specialista il percorso più indicato per ognuno.
Talora serve una psicoterapia, in altre situazioni bastano pochi colloqui, in altre ancora c’è necessità di un ausilio farmacologico.
Il nostro medico di base che ben ci conosce potrebbe indirizzarci lui stesso verso la figura più idonea ed appropriata.
Se non sappiamo a chi rivolgerci, probabilmente uno psicologo potrebbe aiutarci a definire meglio la nostra domanda d’aiuto e individuare un percorso più adatto a noi.
Si evince pertanto la necessità di comprendere meglio quali sono le differenti funzioni degli specialisti in una relazione d’aiuto, perché e quando ci si rivolge a chi e, soprattutto, quali sono le tipologie di intervento che vengono effettuate.Inquadriamo ora le rispettive figure professionali dello psicologo, dello psicoterapeuta, dello psicanalista e dello psichiatra.
Psicologo
Lo psicologo è un laureato in psicologia che, dopo la laurea quinquennale, oggi tre più due, e dopo aver effettuato un tirocinio, si abilita alla professione superando l’esame di stato e si iscrive all’ordine nazionale degli psicologi con la qualifica, appunto, di psicologo (albo sez. A). L’ordine degli psicologi circoscrive la professione di psicologo all’utilizzo di strumenti conoscitivi e di intervento, volti alla prevenzione, alla diagnosi, e a tutte le attività di abilitazione, sostegno e riabilitazione rivolte a gruppi o all’individuo, alle comunità e agli organismi sociali. Inoltre, lo psicologo è abilitato alle attività di ricerca e sperimentazione nelle aree psicologiche. Non può somministrare farmaci ma può avvalersi del supporto medico e di consulenze esterne qualora lo ritenga importante. Il compito dello psicologo è quello di guidare la persona in un percorso evolutivo che aiuti a respirare nuove possibilità di essere e di esistere.
Psicoterapeuta
Lo psicoterapeuta è un laureato in psicologia o in medicina e chirurgia che dopo la laurea e dopo aver conseguito l’esame di abilitazione all’esercizio della professione, intraprende una scuola di formazione in psicoterapia di almeno quattro anni e viene conseguita tramite corsi universitari o privati riconosciuti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR). Appare quindi opportuno parlare di “Psicologo-psicoterapeuta” o di “Medico-psicoterapeuta”. Le scuole di specializzazione che permettono l’iscrizione all’Albo degli Psicoterapeuti sono molte e molto diverse fra loro (in Italia attualmente ce ne sono circa 300). Esse fondano il loro insegnamento su vari tipi di approccio, fornendo una preparazione specifica e diversificata sulla base degli orientamenti teorici a cui si riferiscono (orientamento cognitivo-comportamentale, sistemico-relazionale, psicoanalitico…). Inoltre è abilitato a tutte le attività già citate per lo psicologo e, in più, svolge attività di cura utilizzando tecniche e strumenti propri della psicoterapia. Lo psicoterapeuta, se non è un medico, non può prescrivere farmaci. Lo psicoterapeuta tendenzialmente intraprende lui stesso un percorso di psicoterapia che, per la maggior parte delle scuole di specializzazione rientra nell’iter formativo.
Psicanalista
Lo psicanalista è un laureato in psicologia o in medicina e chirurgia che dopo la laurea e dopo aver conseguito l’esame di abilitazione all’esercizio della professione, intraprende una scuola di formazione in psicoterapia con una formazione psicanalitica di almeno quattro anni. Lo psicanalista, per diventare tale, deve necessariamente sottoporsi in prima persona ad un’analisi personale che può avere una durata variabile con il fine di risolvere eventuali conflitti personali irrisolti e di acquisire maggiori competenze professionali. L’approccio terapeutico scelto è quello che si basa sulla teoria di Sigmund Freud, detto appunto “psicoanalisi”,a questa classica sono succedute molte correnti partendo dalla teorizzazione di alcuni allievi di Freud come Jung, Adler, Anna Freud fino alle più attuali psicoterapie psicoanalitiche o ad orientamento psicanalitico.
Psichiatra
Lo psichiatra ha un percorso differente, è un laureato in medicina e chirurgia che, dopo la laurea, intraprende un percorso di specializzazione in psichiatria. Rispetto alle modalità di trattamento terapeutico del disagio/disturbo mentale offerte dallo psicologo-psicoterapeuta, lo psichiatra è maggiormente orientato a considerare il disturbo mentale come derivante da un malfunzionamento e/o uno sbilanciamento a livello biochimico del sistema nervoso centrale. Per questo motivo la principale modalità di cura proposta dallo psichiatra è quella farmacologica unitamente ad un eventuale invio allo psicoterapeuta. Lo psichiatra è anche abilitato, previa richiesta formale, all’esercizio della psicoterapia quindi all’interno della categoria degli psicoterapeuti esistono psichiatri con questo titolo.
Lo psicologo psicoterapeuta è un professionista che, dopo l’abilitazione alla professione di psicologo, si specializza in psicoterapia attraverso una formazione post-universitaria di almeno 4 anni.
L’iscrizione all’elenco degli psicoterapeuti del proprio ordine regionale ne autorizza l’esercizio alla professione.La Legge 56/89 regola l’esercizio dell’attività psicoterapeutica, con l’art. 3:
“L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia, attivati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all’articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica.
Agli psicoterapeuti non medici è vietato ogni intervento di competenza esclusiva della professione medica”.
Lo psicologo psicoterapeuta opera per offrire ai pazienti (o clienti) un percorso di diagnosi e cura volto al superamento delle difficoltà psicologiche, siano esse più o meno gravi ed invalidanti.
Il titolo di psicoterapeuta può essere conseguito anche dai laureati in medicina (previa specializzazione presso una scuola di psicoterapia) o dai medici psichiatri.
Tratto dal sito dell’Ordine degli Psicologi della Liguria